Introversione
ed estroversione
V’è un’intera categoria di uomini
che, al momento di reagire ad una
determinata circostanza, si ritrae;
qualcosa in essi dice «no» e solo in un secondo tempo
comincia la fase di reazione; v’è un’altra categoria, invece,
che in situazioni analoghe reagisce immediatamente, si-
cura del suo modo di procedere. I primi si troverebbero
dunque in rapporti negativi come l’oggetto, i secondi in-
vece in rapporti positivi.
Come è noto, la prima categoria è quella degli
introver-
titi
, la seconda quella degli
extravertiti
. Ma con questi
due termini poco si è ottenuto, così come poco otten-
ne il
bourgeois gentilhomme
di Molière
3
quando scoperse
ch’egli abitualmente parlava in prosa. Questi tipi hanno
senso e valore solo quando si conoscono tutte le altre ca-
ratteristiche che li distinguono.
Non si può essere introvertiti, senza esserlo ad ogni ri-
guardo: «introvertito» è colui nel quale tutti gli avve-
nimenti psichici si svolgono secondo le caratteristiche
dell’introversione. Se così non fosse, l’affermare un indi-
viduo è extravertito sarebbe cosa altrettanto insignifican-
te quanto l’affermare che sua statura è di m I,75, o che
i suoi capelli sono castani, o che egli è un brachicefalo
4
.
Queste affermazioni non contengono evidentemente
niente più del dato di fatto che esse attestano. Invece,
l’espressione «extravertito» ha pretese molto maggiori.
Essa vuol dire che, quanto il suo cosciente quanto il suo
incosciente debbono avere qualità definite che si rivelano
nel suo comportamento, nei suoi rapporti con gli altri
uomini; persino il corso della sua vita mostra le partico-
lari caratteristiche del suo tipo.
L’introversione e l’extraversione, quali caratteri tipici,
rappresentano una base essenziale per l’intero processo
psichico, in quanto stabiliscono il modo di reagire abi-
tuale e non solo determinano il modo di comportarsi,
ma anche la natura delle esperienze soggettive. Oltre a ciò
esse mettono in luce le compensazioni prodotte dall’in-
cosciente. Una volta determinate le reazioni abituali, pos-
siamo quasi essere certi di avere colto nel segno, poiché
esse non solo regolano il comportamento esterno, ma
creano le esperienze specifiche; cioè a determinati modi
di comportamento corrispondono determinati risultati,
e dalla interpretazione soggettiva di essi derivano le va-
rie esperienze, che a loro volta influiscono sul compor-
tamento e determinano così il destino di un individuo,
secondo il proverbio
faber est suae quisque fortunae
5
.
(C. G. Jung,
Tipi psicologici,
Bollati Boringhieri, Torino 2011)
1.
Si tratta dei quattro temperamenti umorali: flemmatico, melanconico,
collerico e sanguigno.
2.
La classificazione delle diverse funzioni corporee.
3.
Il
Borghese gentiluomo
è un’opera scritta dal commediografo francese
Jean-Baptiste Molière nel 1670, in cui il protagonista è un borghese che si
sforza senza successo di imitare lo stile di vita degli aristocratici.
4.
Partico-
lare conformazione del cranio, in cui il diametro longitudinale è uguale o
minore a quello trasversale.
5.
Dal latino, “Ognuno è artefice della propria
sorte”.
Commento
Jung mira a individuare i caratteri psico-
logici fondamentali, a partire dai quali
poter classificare la varietà dei comportamenti umani. Egli è
consapevole delle difficoltà a cui va inevitabilmente incontro
nel portare avanti questo tipo di progetto. Secondo il modello
di scienza affermatosi a partire dal Seicento, studiare scientifi-
camente un oggetto significa ricondurlo a delle leggi genera-
li. Ma – si chiede Jung – è possibile fare una cosa del genere
con quel particolarissimo oggetto che è l’individualità umana?
Ricondurre un singolo individuo a una regola generale non
comporta il fatto di snaturarne il carattere, smarrendone i trat-
ti irripetibili e peculiari? Per quanto si tratti di un’impresa diffi-
cile, Jung pensa che si possa almeno tracciare una strada. An-
che se sulla base di presupposti soggettivi che come tali pos-
sono essere errati, è possibile iniziare un percorso che, come
quello intrapreso suo tempo da Cristoforo Colombo, apra nuo-
ve vie verso la conoscenza delle cose.
Jung pensa di poter tracciare questa strada attraverso la de-
finizione di due caratteri fondamentali a cui, in base alla sua
esperienza clinica, gli sembrano riconducibili tutti i comporta-
menti umani. Ciò non significa negare al singolo individuo la
sua specificità individuale. Significa solo definire delle categorie
generali a cui i diversi caratteri possono essere ricondotti, pur
sapendo che essi verranno declinati da ogni individuo in una
maniera particolare. I due caratteri individuati da Jung sono
quelli dell’
introversione
e dell’
extraversione
. La prima si riferisce
a chi di fronte alle cose tende a tirarsi indietro; la seconda si
riferisce invece a chi di fronte alle cose agisce immediatamente,
senza esitazioni. La prima comprende chi con le cose definisce
un rapporto negativo; la seconda chi con le cose definisce un
rapporto positivo.
Al fine di comprendere appieno la natura delle due tipologie,
è essenziale coglierne il carattere totalizzante. Rientrare in una
piuttosto che nell’altra significa rientrarvi completamente:
nell’individuo “introvertito” tutti gli avvenimenti psichici si
svolgono secondo le caratteristiche dell’introversione; allo
stesso modo, nell’individuo“extravertito” tutti gli avvenimenti
psichici (consci e inconsci, scrive Jung) si svolgono secondo
il carattere dell’estroversione. In questo senso, in quanto ca-
ratteri tipici, l’introversione e l’estroversione possono essere
definiti secondo Jung“la base essenziale per l’intero processo
psichico”.
Q
ualche domanda
➜
Che cosa intende Jung per “tipo psicologico”?
➜
Come viene definita da Jung l’introversione?
➜
Come viene definita l’estroversione?
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