L
ETTERATURA E PSICOLOGIA
9
L’addio all’infanzia
di Y. Mishima
L’autore
Yukio Mishima, pseudonimo
di Hiraoka Kimitake (1925-1970), è stato
uno scrittore giapponese. Si è opposto
strenuamente alla tendenza della cultura
giapponese a sostituire i tradizionali va-
lori i con quelli della cultura occidentale,
arrivando a togliersi la vita come forma di
protesta estrema.
L’opera
Confessioni di unamaschera
viene
pubblicato nel 1949. Nel libro, scritto sot-
to forma di autobiografia, il protagonista
racconta le vicende della propria infanzia
e della propria adolescenza, fino al mo-
mento in cui prende consapevolezza della
propria omosessualità.
Il brano
Durante una festa estiva, la pro-
cessione cittadina arriva nel giardino del
protagonista, in quel momento in com-
pagnia della nonna. Le immagini che gli
si offrono, insieme alla musica prodotta
dai tamburi, hanno un fortissimo impatto
emotivo, arrivando a provocare in lui uno
stato d’angoscia inaspettato. Nella me-
moria del protagonista l’episodio viene
ricordato come un incidente che segna
il suo passaggio dall’età infantile all’ado-
lescenza.
Anni d’infanzia…
La mia memoria corre a capofitto dentro una scena che
mi sembra un simbolo di quegli anni. Per me quale son
oggi, quella scena raffigura l’infanzia medesima, passata
e irrecuperabile. Mentre la contemplavo, sentii la mano
dell’addio con cui l’infanzia prendeva commiato da me.
In quell’istante ebbi il presagio che un giorno tutto il mio
senso del tempo soggettivo, ovvero dell’indipendenza dal
tempo, sarebbe forse traboccato fuori di me e affluito den-
tro lo stampo di quella scena, per divenire un simulacro
esatto delle persone e dei movimenti e dei suoni in cui si
assommava; che simultaneamente all’adempiersi di questa
copia, l’originale avrebbe potuto fondersi e svanire nelle
prospettive lontane del tempo reale e oggettivo; e che a
me non sarebbe rimasto niente più del semplice simulacro,
oppure, per dirla altrimenti, niente più d’un campione ac-
curatamente imbalsamato della mia infanzia.
Tutti noi sperimentiamo qualche incidente analogo nel
corso della fanciullezza. Nella maggior parte dei casi, pe-
raltro, esso riveste una sembianza così tenue, così poco
meritevole perfino del nome d’incidente, che rischia di
passare inosservato.
La scena di cui parlo ebbe luogo un certo giorno in cui
una moltitudine che celebrava la Festività dell’Estate ir-
ruppe dal nostro cancello e dilagò in giardino.
Sia per riguardo a me, sia a causa della sua gamba in-
valida, la nonna aveva convinto i vigili del fuoco delle
vicinanze a far sfilare le processioni festive del distretto
lungo la strada su cui dava il nostro cancello. In origine
esisteva un diverso percorso obbligato per le processioni,
ma il capo dei vigili si era impegnato a predisporre qual-
che breve deviazione tutti gli anni, e ormai era invalsa la
consuetudine di passare davanti a casa nostra.
Quel dato giorno io stavo presso il cancello insieme agli
altri membri della famiglia. Si erano spalancati entrambi
i battenti del cancello di ferro a forma di tralci di vite, e si
erano meticolosamente spruzzate d’acqua tutte le pietre
del selciato esterno. Udimmo avvicinarsi il rullo tituban-
te dei tamburi.
La flebile melodia di una nenia
1
, in cui le singole parole
si facevano percettibili solo a grado, perforava il tumulto
confuso della festa, quasi allo scopo di proclamare il vero
tema di quel fracasso esteriormente inane
2
: il cordoglio,
avresti detto, per l’accoppiamento estremamente volgare
fra il genere umano e l’eternità, che poteva consumarsi
soltanto mediante una pia manifestazione immorale sul
tipo di quella. Nell’ingarbugliata massa sonora potei di-
stinguere a poco a poco il tintinnio metallico degli anelli
infissi nella verga
3
del prete che camminava in testa alla
processione, il rimbombo spasmodico dei tamburi, e il
viluppo degli urli ritmici emessi dai giovani che portava-
no in spalla il tabernacolo sacro. Mi era preso un batti-
cuore così soffocante che riuscivo appena a star zitto. (Da
allora in poi un’aspettativa violenta è sempre stata per me
un motivo d’angoscia piuttosto che di piacere.)
(Y. Mishima,
Confessioni di una maschera
, Milano, Feltrinelli 2004)
1.
Canto triste e monotono.
2.
Vano, inutile.
3.
Bastone.
Q
ualche domanda
➜
Che tipo di situazione viene descritta da Mishima?
➜
Per quali ragioni il protagonista prova un forte
sentimento di angoscia?
➜
Che significato dà Mishima a questo episodio?
001-140_psicologia_sviluppo_corretto.indd 139
30/12/