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Pensiero
e linguaggio
Se si paragone un bambino di due o
tre anni con espressioni verbali ele-
mentari con uno di otto o dieci mesi,
le cui forme di intelligenza sono ancora di natura senso-
motoria
1
, cioè con i soli strumenti della percezione e del
movimento, sembra a prima vista evidente che il linguag-
gio ha profondamente modificato quest’iniziale intelligen-
za pratica, aggiungendo ad essa il pensiero. È così che, in
virtù del linguaggio, il bambino è in grado di evocare situa-
zioni non attuali e di liberarsi dalle frontiere dello spazio a
lui prossimo e del tempo presente, cioè dai limiti del cam-
po percettivo
2
, mentre l’intelligenza sensomotoria è quasi
interamente confinata all’interno di queste frontiere. In
secondo luogo, in virtù del linguaggio, gli oggetti e gli
eventi non sono più soltanto raggiunti nell’immediatezza
percettiva, ma inseriti in una cornice concettuale e raziona-
le che arricchisce enormemente la conoscenza che il bam-
bino ha di essi. Si è tentati quindi di confrontare semplice-
mente il bambino com’è prima e dopo l’acquisizione del
linguaggio, e di concludere, con Watson
3
e tanti altri, che
il linguaggio è l’origine del pensiero.
Se si esaminano però più da vicino le trasformazioni
dell’intelligenza che si verificano al momento dell’ac-
quisizione del linguaggio ci si accorge che questo non
è l’unico responsabile di quelle. Le due novità essenziali
che abbiamo ricordato possono venir considerate l’una
come l’inizio della rappresentazione, l’altra come inizio
della schematizzazione rappresentativa (concetti, ecc.), in
opposizione alla schematizzazione sensomotoria, basata
sulle azioni stesse o sulle forme percettive. Vi sono però,
oltre al linguaggio, altre fonti suscettibili di spiegare al-
cune rappresentazioni ed una certa schematizzazione rap-
presentativa.
Pensiero
e funzioni
simboliche
Il linguaggio è necessariamente inte-
rindividuale, e costituito da un siste-
ma di segni (=significanti «arbitrari»
o convenzionali). Ma, accanto al lin-
guaggio, il bambino, che è meno socializzato di quanto
sarà verso i sette-otto anni, e soprattutto meno dell’adul-
to, ha bisogno di un altro sistema di significanti, più in-
dividuali e più «motivati»: sono i simboli, le cui forme
più comuni nel bambino piccolo si trovano nel gioco
simbolico o gioco d’immaginazione. Il gioco simbolico
appare circa contemporaneamente al linguaggio, ma in-
dipendentemente da esso, e svolge una funzione notevole
nel pensiero dei bambini piccoli, soprattutto come fonte
di rappresentazioni individuali (contemporaneamente
cognitive ed affettive) e di schematizzazione rappresenta-
tiva parimenti individuale. Per esempio: la prima forma
di gioco simbolico che ho osservato in uno dei miei bam-
bini consisteva nel far finta di dormire: un mattino, ben
sveglio e seduto sul letto di sua madre, il bambino vede in
un angolo del lenzuolo che gli ricorda l’angolo del suo
cuscino (dobbiamo dire che per addormentarsi il bambi-
no teneva sempre con una mano l’angolo del suo cuscino
e si metteva in bocca il pollice di questa mano; prende
allora l’angolo del lenzuolo, chiude la mano ben stretta,
mette il pollice in bocca, chiude gli occhi, e sempre sedu-
to, fa un largo sorriso. Abbiamo in questo caso l’esempio
d’una rappresentazione indipendente dal linguaggio ma
riferita a un simbolo ludico, consistente in gesti appro-
priati che imitano quelli che di solito accompagnano una
determinata azione. L’azione così rappresentata non ha
nulla di presente o di attuale, e si riferisce ad una contesto
o ad una situazione semplicemente evocati, cosa che è
appunto il carattere distintivo della «rappresentazione».
Il gioco simbolico non è l’unica forma di simbolismo in-
dividuale. Possiamo citarne un’altra che ha inizio anch’essa
nella stessa epoca e svolge un ruolo altrettanto importante
nella genesi della rappresentazione: è l’«imitazione differi-
ta», o imitazione che si verifica per la prima volta in assenza
del modello corrispondente. Una delle mie bambine, per
esempio, si era sorpresa nel vedere un suo piccolo amico
fare i capricci, gridare e pestare i piedi. In sua presenza non
aveva reagito, ma dopo che se ne fu andato, aveva imitato
la scena, ma senza collera alcuna da parte sua.
In terzo luogo possiamo anche classificare tra i simboli
individuali ogni forma d’immaginazione mentale. Come
attualmente sappiamo, l’immagine non è né un elemen-
to del pensiero stesso né una continuazione diretta della
percezione: è un simbolo dell’oggetto, che si manifesta
ancora al livello dell’intelligenza sensomotoria (in tal caso
la soluzione di molti problemi pratici sarebbe assai più
facile). L’immagine può venir concepita come un’imita-
zione interiorizzata: l’immagine sonora è un’imitazione
interiore del suono corrispondente, e l’immagine visiva
è il prodotto di un’imitazione dell’oggetto della persona,
sia con il corpo intero, sia con i movimenti degli occhi,
quando si tratta di una forma di piccole dimensioni.
(J. Piaget,
Lo sviluppo mentale del bambino
, Einaudi, Torino 2000)
1.
Che svolge funzioni motorie e sensoriali.
2.
L’ambito che può essere col-
to direttamente attraverso le percezioni sensoriali.
3.
John Broadus Watson
(1878-1958) è stato uno psicologo statunitense.
Commento
Tra un bambino di otto o dieci mesi e uno
di due o tre anni possono essere osser-
vate diverse differenze, alcune delle quali balzano agli occhi.
Evidente è senz’altro la differenza tra le loro forme di intelli-
genza: mentre nel primo caso si ha un’intelligenza di tipo sen-
somotorio, basata sui soli strumenti della percezione e del
movimento, nel secondo si ha un’intelligenza dotata di maggior
complessità, capace di manifestarsi in attività sia rappresenta-
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