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Poiché nel corso del XVIII secolo molte congregazioni femminili videro ridurre dra-
sticamente il numero di novizie e furono costrette a ridimensionare il loro impegno in
campo scolastico, nuove iniziative sorsero in
ambito religioso
. Nacquero così nume-
rose congregazioni a “voti semplici”, cioè formate non più da monache rinchiuse in
monastero, ma da piccole comunità di suore che vivevano e operavano nella società,
occupandosi soprattutto di assistenza ed educazione.
Nel frattempo cominciarono ad apparire nella vita scolastica anche
maestre laiche
,
pagate dalle comunità locali, dalle famiglie o con i lasciti di qualche ricco testamento.
Le maestre laiche avevano molti tratti in comune con quelle religiose, in quanto erano
quasi sempre nubili, di provata moralità e religiosità e venivano retribuite assai mode-
stamente. La loro presenza, però, è indice del fatto che il mondo, anche per quanto ri-
guardava la condizione della donna, era in fase di cambiamento: la
domanda di scola-
rizzazione stava aumentando
, l’istruzione non coincideva più con il solo catechismo
e soprattutto si stava evolvendo l’idea stessa della condizione femminile.
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Il dibattito sull’istruzione femminile
Nel corso del Settecento si verificò in tutta l’Europa dei Lumi un acceso dibattito sul-
la donna. Si trattava di qualcosa di nuovo nel panorama continentale, in quanto dif-
ferente sia dalla letteratura amorosa del Cinquecento e Seicento sia dalla trattatistica
religiosa di matrice cristiana. Erano il ruolo della donna e le stesse relazioni tra i ses-
si a essere in gioco.
Del resto, anche se lentamente, stavano cambiando alcune consuetudini sociali: le don-
ne di estrazione sociale medio-alta uscivano di casa, passavano molto tempo con il cici-
sbeo (una sorta di accompagnatore e talvolta amante legalizzato), leggevano
romanzi e
giornali
(non a caso proprio nel XVIII secolo nacquero i primi periodici rivolti espli-
citamente a un target femminile), alcune studiavano e si laureavano.
Restava viva, però, e ancora diffusa la visione pessimistica della donna ereditata dal-
la teologia di stampo controriformistico, la quale, nutrendo un
forte pregiudizio
nei
confronti del sesso, additava la figura femminile come possibile sorgente del peccato.
Sostenendo che una cultura e una socialità eccessive l’avrebbero fatta deviare da quel-
la che era la sua collocazione naturale, ovvero l’essere moglie e madre, si proclamava la
necessità di tenerla in uno stato di inferiorità all’uomo.
Anche nel campo dell’istruzione, le voci favorevoli al mantenimento della tradizione
furono di gran lunga più numerose rispetto a quelle che invitavano a fornire alle don-
ne studi paragonabili a quelli degli uomini.
Se moralisti e insegnanti dibattevano con
trasporto su quali fossero gli studi più adeguati al “genio femminile” e a formare le fu-
ture madri ed educatrici, pochissimi furono disposti a revocare l’uso di istruirle nelle
case paterne. Addirittura Rousseau e Filangieri, che pure proposero modelli educativi
dotati di una grande carica di innovazione, continuarono a escludere le ragazze dalla
scuola pubblica e a confinarle tra le mura domestiche.
Furono soprattutto le teorie rousseauiane ad avere grande diffusione nell’Europa dei
Lumi in materia di educazione femminile. Rousseau ne trattò sia nell’
Emilio
sia nella
lettera scritta nel 1763 al principe di Württenberg sull’educazione della figlia Sophie.
Il punto di partenza del filosofo ginevrino era certamente all’avanguardia quando egli
affermava che «la donna e l’uomo sono fatti l’uno per l’altra». Ciò non impediva, però
a Rousseau di aderire alla visione gerarchica del rapporto uomo-donna di stampo tra-
Q
ualche domanda
Quale ruolo
comportamentale
era associato alla
figura femminile?
Chi si occupava della
sua educazione?
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