bile è che i processi di alfabetizzazione e di scolarizzazione
femminile sia nell’Europa cattolica sia in quella protestan-
te si svolsero in modo assai più lento e difficoltoso rispet-
to a quelli maschili.
Del resto, era l’idea stessa della donna e del suo ruolo so-
ciale a condannarla all’emarginazione: dato che l’educa-
zione mirava a formare un individuo timorato di Dio, in
grado di compiere il proprio dovere, di essere utile alla
società e adeguato al proprio ceto, l’educazione femmini-
le non poteva che proporsi di fare di ogni bambina una
moglie fedele e obbediente al marito, una madre dedita
ai figli, una donna di casa capace di gestire la vita di tut-
ta la famiglia.
Ancora nel Settecento, il modello comportamentale a cui
ispirarsi era quello che voleva la
donna modesta
, consacrata
a una vita ritirata, con un’ottima padronanza dei lavori do-
mestici, sotto il vigile controllo prima della madre, poi del
marito. Il compito dell’educazione era quello di trasmettere
le virtù cristiane e abituare le ragazze a una solida moralità.
In ogni caso, tra Seicento e Settecento si registrò una cre-
scente attenzione all’educazione femminile, per lo meno a
partire dalle ragazze dell’aristocrazia e di quella parte della
borghesia che aspirava all’ascesa sociale. Si diffuse la con-
vinzione dell’utilità, anche per le donne, della lettura e del-
la scrittura. Il calcolo, quando era previsto, era in genere
legato alla necessità di una certa pratica nella contabilità
familiare. Ma sempre con grande prudenza: la letteratura
ricordava con insistenza che un eccesso di sapere rischiava
di rendere le donne saccenti, presuntuose, inquiete e, dunque, un potenziale motivo
di turbamento per le famiglie e la società.
Come nei secoli precedenti, il luogo per eccellenza in cui avveniva l’educazione del-
le ragazze era la famiglia. Se al padre competevano le decisioni sul destino della figlia
(se darla a marito, avviarla alla vita religiosa o lasciarla nubile in famiglia), alla madre
spettava il compito di curarne la buona formazione e difenderne il bene più prezioso e
più a rischio, cioè l’
onorabilità
, di cui essa si occupava anche dopo il matrimonio per
garantire il buon nome della famiglia.
Le ragazze più ricche disponevano di governanti e precettori, ma prevaleva comunque
l’interiorizzazione dei comportamenti più che l’acquisizione di saperi. Nelle famiglie
povere, dove l’educazione era completamente affidata alle madri e alle sorelle mag-
giori, assumevano grande importanza anche altre competenze, come la cura della ca-
sa, il senso del risparmio, l’allevamento dei piccoli animali domestici, la cura dell’orto.
Solo le ragazze più ricche potevano ambire a un’istruzione superiore, normalmente ri-
cevuta nei conventi o negli
educandati
di qualche congregazione femminile, che riser-
vavano da sempre anche un certo numero di posti gratuiti ad alunne povere. Lì riceve-
vano un insegnamento di livello secondario, comparabile per certi aspetti a quello dei
collegi maschili, ma strutturato in modo alquanto diverso. Le principali differenze era-
no rappresentate dalla durata del percorso scolastico (dai quattro ai sette anni per i ra-
gazzi, due anni al massimo per le ragazze) e dalle modalità d’ingresso: mentre le ragazze
Lessico
Educandati
@
Sono i collegi
femminili aggregati ai mo-
nasteri.
Silvestro Lega,
Il canto
dello stornello
, 1867, Firenze,
Galleria d’Arte Moderna
di Palazzo Pitti.
M4 LIBRO_3B.indb 195
30/12/