1. Wittgenstein e la tradizione empiristica
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Il commento
Nel
testo 1
, il filosofo inglese
Bertrand Russell
, mentore a Cambridge di Wittgenstein, se per un verso elogia
la struttura analitica e logica dell’opera, per l’altro non fa mistero di un certo “disagio intellettuale” di fronte
alla presenza di temi chiaramente etici e religiosi. Russell lamenta infatti l’aporia che sorgerebbe dalla con-
temporanea presenza nel
Tractatus
di proposizioni contraddittorie: ciò che è ritenuto logicamente inespri-
mibile – il
Mistico
per esempio – è tuttavia pensato da Wittgenstein come esistente. Da qui il giudizio inappel-
labile secondo cui l’ingresso dei temi etici nel
corpus
dell’opera equivarrebbe a una debolezza inestirpabile
nel coerente sistema logico di Wittgenstein. Di opinione nettamente diversa è lo storico della filosofia
Nico-
la Abbagnano
il quale, nel
testo 2
, pur vedendo come Russell un’evidente contraddizione tra la sistematici-
tà della logica e l’ineffabilità del
Mistico
, ne interpreta la presenza come il segno di una complessità specu-
lativa e di una drammaticità esistenziale proprie del pensatore Wittgenstein. Abbagnano, infatti, ritiene che
la scelta di far poggiare l’edificio concreto ed empirico del
Tractatus
sulle fondamenta dell’ineffabile sia la
cifra dell’alta considerazione di Wittgenstein per il complesso della vita morale, che rivela un’idea di stam-
po quasi metafisico e cioè che la vita morale, e religiosa, sia irriducibile a sistema se non a patto di privarla
della sua intrinseca dilemmaticità e contraddittorietà.
La presenza di temi etici nel
Tractatus
è segno della ricchezza
speculativa e della drammaticità esistenziale di Wittgenstein
«L’inesprimibile costituisce forse lo sfondo sul quale ciò che ho potuto espri-
mere acquista significato». Questa confessione di Ludwig Wittgenstein sintetiz-
za il conflitto che è stato alla base della sua personalità e ha travagliato la sua
vita: quello tra un mondo interiore ricco di aspirazioni morali e religiose e l’in-
capacità di esprimerlo e di giustificarlo attraverso il linguaggio che egli riteneva
adatto solo per rappresentare i fatti o a servire agli usi pratici della vita. […] In
verità le opere principali (
Tractatus logico-philosophicus
, 1922 e
Ricerche filosofiche
,
1953 postume) avevano fatto di Wittgenstein, nell’opinione corrente, un tipico
“filosofo del linguaggio” di marca anglosassone, quale era stato presentato da
Bertrand Russell che aveva promosso la pubblicazione del suo
Tractatus
. E per
un filosofo del linguaggio, cioè per un empirista radicale, i problemi classici del-
la morale e della filosofia sono privi di senso perché inesprimibili nel solo lin-
guaggio autentico, che è quello della scienza […]. Tuttavia, già in quell’opera
Wittgenstein non negava che i problemi concernenti Dio, il mondo, la vita, il
bene e il male, potessero essere “sentiti” o “compresi” in qualche sorta di espe-
rienza intimamente vissuta, cioè “mistica”. Negava solo che potessero dare luo-
go a problemi […] suscettibili di risposta […]. L’interesse morale e religioso era
in lui dominante, anzi predominante. Ed entrava quindi in urto drammatico
con quelli che egli riteneva i limiti invalicabili della sua filosofia.
* Rusconi libri, Milano 1993
Tesi 2
- NICOLA ABBAGNANO
da
La saggezza della filosofia
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