la meccanica newtoniana
Il superamento delle contraddizioni
aristoteliche
Come doveva accadere per chiunque si impegnasse,
verso la finedelCinquecento, negli studi di filosofianatu-
rale, anche il giovane Galileo Galilei conosceva perfetta-
mente lafisicaaristotelica.Nei riguardidiquesta, tuttavia,
egli si trovò fin dall’inizio in posizione fortemente critica.
Infatti, non condivise mai la dottrina della “leggerezza”
dei corpi e, per quanto riguarda la cadutadei corpi pesan-
ti, ritenevachelalorovelocitànondipendesse,comepen-
savano gli aristotelici, dal rapporto tra il peso del corpo e
la densità del mezzo ma dalla differenza tra il peso e la
densità delmezzo.
La differenza tra le due ipotesi non era da poco; infatti,
dalla relazione
velocità di caduta di un corpo ÷
÷
peso del corpo
densità del mezzo
gli aristotelici deducevano che nel vuoto la veloci-
tà di caduta sarebbe stata infinita e poiché, in tale
caso, il corpo avrebbe potuto trovarsi contempora-
neamente in due luoghi diversi, traevano la conse-
guenza che, per evitare tale assurdo, il vuoto non
potesse esistere. Al contrario, l’
ipotesi galileiana
,
traducibile nella relazione
velocità di caduta di un corpo
÷
÷
(peso del corpo – densità del mezzo)
[1]
consente di ammettere l’esistenza del vuoto senza
che la velocità del corpo che cade in esso diventi in-
finita.
Come si vedrà più avanti studiando in dettaglio i
princìpi dinamici del movimento, la relazione [1]
contiene un errore in quanto la velocità del corpo in
caduta non è proporzionale al suo peso; essa quindi,
come la fisica aristotelica, esalta il ruolo della veloci-
tà ponendo in secondo ordine quello della variazio-
ne della velocità (cioè dell’accelerazione) del corpo,
variazione che Galilei considerava, a quell’epoca,
come un “accidente”.
Queste concezioni giovanili di Galilei si scontravano
però con la realtà osservabile e con gli
esperimenti
concettuali
, cioè con quegli esperimenti solo pen-
sati nei quali si potevano immaginare condizioni
inesistenti nella realtà, come la totale assenza di at-
triti o la totale assenza dell’aria, ma coerenti con i
princìpi fisici generali.
Per quanto riguarda la realtà osservabile, l’idea che
la velocità fosse un carattere peculiare del moto e
l’ipotesi della proporzionalità diretta fra la velocità
di un corpo in caduta e il peso di questo si scon-
travano nettamente con le caratteristiche del moto
del pendolo, moto in cui non si riconosce alcuna
velocità definita e neppure una velocità proporzio-
nale al peso del corpo ma in cui si alternano fasi di
aumento e fasi di diminuzione della velocità sepa-
rate da stati di quiete. Per quanto riguarda gli espe-
rimenti concettuali, vogliamo ricordarne due che
ci sembrano particolarmente significativi perché
capaci di negare l’idea aristotelica che la velocità
fosse legata al peso del corpo: il primo riguarda il
moto di un corpo sul piano orizzontale, il secondo
riguarda il moto di un corpo in verticale.
Galilei e la caduta
dei gravi
Figura A
La leggenda vuole che Galilei abbia lasciato
cadere dalla Torre di Pisa oggetti di varia massa per
verificare la legge di caduta dei gravi.
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