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e costituzione
nochio (
De arbitrariis iudicum quaestionibus et causis libri duo
, 1576) o del saviglia-
nese Aimone Cravetta (
Tractatus de antiquitate temporis
, Venetiis, 1576) sottolineava-
no la necessità di avere leggi precise e dettagliate, che lasciassero all’arbitrio del giudice
il minimo spazio possibile. L’idea di cui sopra venne però rilanciata con vigore – sia in
Francia che in Italia – dai
philosophes
del secolo dei Lumi (da noi detti, per l’appunto,
«illuministi»), quale baluardo nei confronti d’un potere visto come espressione d’una vo-
lontà potenzialmente dispotica e capricciosa. È nota la definizione dei giudici data da
Montesquieu, secondo cui questi non potrebbero essere altro se non la “bocca della leg-
ge” (“la bouche qui prononce les paroles de la loi, des êtres inanimés qui n’en peuvent
modérer ni la force, ni la vigueur”,
De l’Esprit des lois
).
Lo stesso Cesare Beccaria (
Dei delitti e delle pene
, 1764) ammoniva che “non v’è cosa
più pericolosa di quell’assioma comune, che bisogna consultare lo spirito della legge”.
L’esperienza successiva ha però dimostrato che è impossibile scindere l’applicazione del-
la legge dalla sua interpretazione. Di ciò già parlava il grande giurista francese Jean-Etien-
ne-Marie Portalis, il quale, presentando nel 1801 il progetto preliminare di quello che sa-
rebbe diventato il
Code Napoléon
, definiva “terribile” il compito del legislatore che non
volesse abbandonare nulla alla decisione del giudice, ammettendo espressamente che
“Nous nous sommes préservés de la dangereuse ambition de vouloir tout régler et tout
prévoir” (“Abbiamo evitato la pericolosa ambizione di voler regolare tutto e prevedere
tutto”).
Basti pensare, tra gli infiniti esempi, al paradosso posto oggi dall’art. 575 c.p., secondo
cui “chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad
anni ventuno”. Chi potrebbe sostenere che se Tizio uccide, invece che un uomo, una
donna, la disposizione non trova applicazione? In realtà, nel momento stesso in cui il giu-
dice applica all’uccisione di una donna la
norma citata, compie, quasi involontaria-
mente, un’attività di interpretazione, con-
sistente nel leggere il termine “uomo” non
già come “individuo di sesso maschile”,
ma come “essere umano”.
Ora, tutta la moderna teoria dell’interpre-
tazione attribuisce al giudice che inter-
preta e applica le leggi la funzione di pro-
duzione del diritto oggettivo, sia pure in
modo diverso da quello della legislazio-
ne. I francesi parlano in proposito di un
“
pouvoir normateur
” (potere normato-
re, o normativo), per distinguerlo dal
“
pouvoir législatif
” (potere legislativo),
laddove è chiaro che “norma” indica una
disciplina che contribuisce a formare il
sistema, pur non essendo rigorosamen-
te riferibile al concetto di “legge” in
senso stretto. È del resto innegabile che
nessuna delle parole adoperate dal le-
gislatore ha un significato “vero”, obiet-
tivo e assoluto, indipendente dall’uso
e avulso dall’interpretazione: solo la