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La struttura e la duplicazione del DNA
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radioattivi per distinguere il DNA dalle proteine. Le
proteine infatti contengono zolfo (simbolo S),men-
tre il DNA contiene fosforo (P): i due biologi statu-
nitensi usarono pertanto zolfo radioattivo per mar-
care le proteine e fosforo radioattivo per marcare il
DNA. Effettuarono poi i due esperimenti seguenti.
Primo esperimento
.Dopo aver ‘marcato’ il rive-
stimento proteico del fago con
35
S, un isotopo
radioattivo dello zolfo (
capitolo 2
,“Come lavora
la scienza”), Hershey e Chase fecero moltiplicare
i fagi marcati in una coltura del batterio
Escherichia coli
. Successivamente, separarono i
batteri infettati da tutto ciò che era rimasto fuori
dalle cellule, utilizzando una centrifuga.
La centrifugazione spinse i batteri, più pesanti,
sul fondo della provetta,mentre nel supernatante,
cioè nella parte alta della provetta, si trovava il
materiale virale che non era entrato nel batterio.
Hershey e Chase trovarono che le proteine marca-
te con lo zolfo radioattivo erano nel supernatante
e non nei batteri.Dedussero,quindi,che
le proteine
fagiche non entrano nei batteri durante l’infezione
.
Secondo esperimento
. A questo punto, i due
biologi marcarono il DNA fagico con un isotopo
del fosforo, il
32
P, e ripeterono il procedimento del
primo esperimento. Questa volta, trovarono che,
dopo la centrifugazione, il
32
P era sul fondo della
provetta, assieme ai batteri. Ne dedussero che,
durante l’infezione,
il DNA marcato con il
32
P
doveva essere entrato nei batteri
.
Questi esperimenti convinsero la comunità
scientifica che il materiale genetico è il DNA e non
le proteine. In questo modo veniva confermata la
conclusione di Avery sull’ereditabilità del DNA.
Franklin e Wilkins fornirono la prova
che il DNA è una struttura a elica
Intorno alla metà degli anni Cinquanta del
Novecento, una brillante biofisica inglese iniziò a
studiare la struttura del DNA. All’epoca le donne
non erano ammesse nei laboratori di ricerca, ma
grazie alla sua caparbietà, Rosalind Franklin entrò
al King’s College di Londra, dove iniziò a utilizzare
la diffrazione a raggi X per i suoi esperimenti
(
capitolo 2
,“Biotech”). Il responsabile del labora-
torio era Maurice Wilkins, un biofisico di origini
neozelandesi. Modificando i propri macchinari,
Franklin riuscì a rendere estremamente sottile il
fascio di raggi X e a ottenere delle fotografie straor-
dinariamente chiare della molecola di DNA (figu-
ra
6
).Mostrò che i gruppi fosfato dovevano tro-
varsi sul lato esterno della molecola, che nel DNA
c’erano due filamenti diversi e che la struttura
doveva essere elicoidale: una specie di scala a
chiocciola.Tuttavia, rigorosa e prudente, decise di
non pubblicare nulla prima di avere le prove con-
clusive delle proprie deduzioni.
Watson e Crick determinarono
la struttura del DNA
Appresi in modo informale i risultati ottenuti da
Franklin, James Watson e Francis Crick,due giovani
scienziati che lavoravano presso il Cavendish
Laboratory dell’Università di Cambridge,diretto dal
premio Nobel
Max Perutz, proposero un modello
verosimile della molecola di DNA. Essi costruirono
delle sagome dei nucleotidi, li assemblarono a for-
mare la molecola completa e poi confrontarono la
disposizione spaziale con i dati ottenuti da
Chargaff, Franklin e Wilkins. Si convinsero infine
che il DNA doveva avere una forma di doppia elica,
miscela di virus e batteri
mescolata e centrifugata
il virus inietta il proprio
DNA nel batterio;
il rivestimento proteico
rimane all’esterno
il rivestimento proteico
marcato con
35
S rimane
nel supernatante
i batteri si
depositano
sul fondo
esperimento 1
6. La Fotografia 51
che mostra
la diffrazione a raggi X
dei cristalli di DNA
ottenuta da Rosalind
Franklin.
rivestimento proteico marcato
con
35
S
DNA virale
fago
batterio
parete cellulare di
E.coli
miscela di virus e batteri
mescolata e centrifugata
il virus inietta il proprio
DNA nel batterio;
il rivestimento proteico
rimane all’esterno
supernatante
il DNA
marcato con
32
P si trova
sul fondo
insieme ai
batteri
esperimento 2
DNA virale marcato con
32
P
DNA virale
parete cellulare di
E.coli