La struttura e la duplicazione del DNA
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Da ciò, Griffith dedusse che, per indurre la pol-
monite i batteri dovevano essere capsulati e attivi.
Griffith pensò di effettuare una prova ulteriore:
iniettò nei topi una miscela di batteri S inattivati e
di batteri R. Quello che ci si aspettava era la
non
comparsa di malattia nell’animale. Sorprenden-
temente, il topo si ammalò e morì: fu possibile iso-
lare dai suoi tessuti batteri S attivi.
Come spiegare questo strano risultato? Griffith
propose l’unica spiegazione plausibile: alcuni
batteri R, in seguito all’interazione con batteri
inattivati S, si erano trasformati in S attivi.
Evidentemente all’interno degli S inattivi
doveva essere presente una qualche sostanza in
grado di conferire ai batteri R la capacità di sin-
tetizzare la capsula polisaccaridica. Tale sostan-
za poteva essere trasferita da un ceppo batterico
all’altro e poteva anche essere trasmessa da una
generazione all’altra. Aveva dunque le caratteri-
stiche di ciò che denominiamo oggi
materiale
genetico
.
Griffith chiamò questa sostanza “principio tra-
sformante”. Erroneamente però, come la grande
maggioranza degli scienziati suoi contempora-
nei, riteneva che essa dovesse essere di natura
proteica.
Il materiale genetico secondo Avery,
McLeod e McCarthy
I risultati di Griffith vennero ripresi, nel 1944, da
Oswald Avery e dai colleghi Colin McLeod e
Maclyn McCarty. Gli scienziati statunitensi idearo-
no un esperimento per determinare la natura del
principio trasformante di Griffith.
Si procurarono una coltura di pneumococchi
di tipo S; a questo punto lisarono le cellule (ovve-
ro ruppero la parete e la membrana cellulare) in
modo da ottenere una soluzione nella quale era
disciolto il materiale contenuto nei batteri, il
cosiddetto
estratto cellulare
o
lisato cellulare
.
ANALISI
di un esperimento
Il materiale genetico doveva presumibilmente
essere uno dei diversi tipi di macromolecole bio-
logiche presenti nei batteri: proteine, polisaccari-
di, acidi nucleici – ovvero DNA e RNA – e lipidi.
Avery e colleghi riuscirono a separare le varie
componenti macromolecolari dell’estratto cellu-
lare. Per capire quali di queste sostanze erano
effettivamente in grado di trasformare batteri R
incapaci di provocare la malattia in batteri S atti-
vi, iniettarono le diverse sostanze nei topi.Le cavie
sopravvivevano quando venivano trattate con uno
qualunque di tali tipi di biomolecole ad eccezio-
ne degli acidi nucleici.
Il materiale genetico doveva essere quindi il
DNA o l’RNA.
Chargaff fornì ulteriori prove
che il DNA è il materiale ereditario
Alla fine degli anni Quaranta del Novecento,
un biochimico della Columbia University, Erwin
Chargaff, iniziò a studiare analogie e differenze
tra gli acidi nucleici provenienti da vari organi-
smi. I risultati dei suoi esperimenti dimostravano
che la frequenza delle basi azotate del DNA varia-
va a seconda dell’organismo di provenienza.
Questo risultato era a sostegno dell’idea che il
DNA è il materiale ereditario. Insieme con le varia-
zioni tra le molecole di DNA dei diversi organi-
smi, Chargaff osservò una importante analogia: la
quantità di adenina presente nelle molecole di
DNA è sempre simile alla quantità di timina, e la
quantità di guanina è simile a quella di citosina
(A = T e G = C). Inoltre, le molecole di DNA possie-
dono sempre una proporzione uguale di purine e
di pirimidine (A + G = C + T). La tabella
2
(a
pagina seguente) mostra entrambi i risultati.
ceppo S
cellule lisate
ceppo S
separazione
dei componenti
ceppo S
ceppo S
ceppo R +
ceppo S inattivo
lipidi
polisaccaridi
proteine
acidi nucleici