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sia contento di sé, e piuttosto lodi chi segue vie diverse,
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e si strugga se la capretta di un altro fa più latte,
e non si paragoni alla folla più folta di chi è più povero,
ma si affatichi per superare questo e quest’altro.
Benché si affretti così, c’è sempre qualcuno che lo supera,
come, quando i cavalli trascinano i carri lanciati fuori dai cancelli
2
,
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l’auriga incalza i cavalli che superano i suoi, senza curarsi
di quello sorpassato, che procede tra gli ultimi.
Così capita che raramente possiamo trovare uno
che dica di essere vissuto felice e al tempo scaduto
soddisfatto si ritiri dalla vita, come un commensale sazio.
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Basta! Perché tu non pensi che io abbia saccheggiato le casse
3
del cisposo Crispino
4
, non aggiungerò parola.
2.
Sono i cancelli dietro i quali si schiera-
vano i cocchi e che venivano abbassati al-
la partenza.
3.
Sono le casse (
scrinia
) in cui si tenevano
i rotoli di papiro, in pratica l’equivalente di
un nostro scaffale di biblioteca.
4.
Crispino era un filosofo stoico, autore di
opere prolisse in prosa e in versi; come Ora-
zio, era
lippus
, cioè soffriva di congiuntivite.
La sua figura ha la funzione di concludere la
satira con un tocco di ironico buon umore,
dopo la malinconica considerazione espres-
sa nei versi che precedono.
Est modus in rebus
… e altro
Aurea mediocritas
Nella satira
I 1 leggiamo che
Est modus
in rebus
, cioè
«esiste una giusta misura nelle cose»
(v. 106).
Il concetto è subito spiegato nel senso che «vi sono limiti cer-
ti al di là e al di qua dei quali il giusto non può sussistere» (vv.
106-107). Su questo stesso tema nell’ode
II 10 Orazio conia la
formula
aurea mediocritas
(v. 5), tanto fortunata quanto dif-
ficilmente traducibile in italiano dove «mediocrità» comporta
una sfumatura negativa di limitatezza: l’espressione può essere
dunque resa con
«aurea via di mezzo»
.
In queste
callidae iuncturae
Orazio ha condensato una sapien-
za già per lui ereditaria. L’ideale del «giusto mezzo» affonda le
sue radici nella cultura della Grecia arcaica e trova riscontro in
alcuni precetti attribuiti a un gruppo di santoni laici detti Set-
te Sapienti: tra i più noti
Medèn ágan
, «Niente di troppo», cioè
«Guàrdati dall’eccesso», che fu poi tradotto in latino
Ne quid
nimis
, e
Métron áriston
, cioè «La misura è la migliore virtù».
In medio stat virtus
Questa espressione, troppo prosaica per
essere oraziana ma di dominio comune ancora oggi, è la tra-
sposizione latina di un proverbio greco di ascendenza aristote-
lica. Essa vuole dire che la virtù etica si colloca sempre nel «giu-
sto mezzo» tra i due estremi. Aristotele estende tale teoria an-
che all’ambito politico formulando la dottrina della costituzio-
ne mista, che fu trasmessa da
Polibio
alla cultura romana e rac-
colta da
Cicerone
nel
De re publica
.
Il principio del «giusto mezzo» giunse a Orazio soprattutto tra-
mite la morale popolare, in stretto collegamento con la dottri-
na a sfondo epicureo dell’
autárkeia
(«autosufficienza»). Ma
l’uomo e il poeta procedono di pari passo sicché la moderazio-
ne da principio di vita diviene anche una regola dell’arte. Co-
me l’equilibrio, la misura, il rispetto delle proporzioni erano stati
l’elemento regolatore dell’arte classica greca, in tutte le sue ma-
nifestazioni, così la sobrietà estetica è il principio dell’arte clas-
sica oraziana (vd. pp. 155-156).
Conviva satur
Poco più che un corollario del discorso fin qui
svolto è l’immagine del
«convitato sazio»
, che si ritira conten-
to dal banchetto della vita «una volta trascorso il tempo» (
exac-
to… tempore
, satira I 1, 118). L’immagine apparteneva alla dia-
triba ed era nota anche alla predicazione epicurea, da cui l’ave-
va ripresa Lucrezio, che infatti nel
De rerum natura
(III 938-939)
immagina che la Natura personificata rimproveri con queste pa-
role l’uomo smanioso di prolungare la propria vita:
Perché non ti ritiri come un convitato sazio di vita
e di buon animo non ti prendi, o sciocco, un tranquillo riposo?
Gli antichi e noi
C’è da aggiungere che, se queste massime so-
no tuttora molto citate, non altrettanto attuale è la virtù a cui si ri-
feriscono: la temperanza. Secondo Salvatore Natoli, «temperanza
è parola fuori moda. Pochi sembra che si ricordino che si tratta di
un’antica virtù. È una parola noiosa perché accenna al limite» (
Di-
zionario dei vizi e delle virtù
, Feltrinelli, Milano 2005
4
, p. 122). Poi
Natoli cita la canzone di Vasco Rossi,
Voglio una vita spericolata
e
addita come fenomeni tipici del nostro tempo la corsa ai consu-
mi, la competizione sociale, la celebrazione del successo e dell’ec-
cesso. Da questo punto di vista Orazio è certamente inattuale: chi
cantasse
Voglio una vita equilibrata
avrebbe poche probabilità di
riscuotere applausi e fare cassetta… Ma
orazio
ci insegna che la
felicità
non
sta
nel concepire sempre nuovi desideri che richiedo-
no soddisfazione, ma
nell’essere padroni di sé
. E questo è
au-
tárkeia
, cioè autosufficienza interiore, autocontrollo, temperanza.
PAROLE fAmOSE
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