Maschera

Elemento fondamentale delle rappresentazioni drammatiche antiche, la maschera (in greco semplicemente prósopon, «volto», e in latino persona, entrambi evoluti nel valore di «personaggio»), che spetta tanto agli attori, quanto al coro, obbedisce a precise convenzioni sceniche: innanzitutto il colore – chiaro per i personaggi femminili, scuro per i personaggi maschili – quindi probabilmente forma e aspetto, non nell’intento di fornire precise rappresentazioni mimetiche del personaggio, quanto piuttosto nella volontà di garantirne un’immediata riconoscibilità in termini tipologici. Tale aspetto convenzionale della maschera venne spinto alle estreme conseguenze dalla commedia, specialmente dalla commedia ellenistica e romana, dove le maschere corrispondevano ad altrettanti ‘tipi’ fissi del repertorio drammatico. Se è certo che l’uso della maschera obbediva a pragmatiche e razionali esigenze di ordine scenico – innanzitutto la visibilità e la riconoscibilità dei personaggi, ma forse anche un certo effetto di ampliamento acustico, come rivela la pseudoetimologia del latino persona (analizzato come personat, «suona forte»), benché a tale funzione si oppongano i materiali normalmente utilizzati (lino, stucco, cartapesta, cuoio) – la ricerca antropologica ha sottolineato piuttosto la funzione cultuale e simbolica della maschera: presente in numerosi rituali, particolarmente di carattere funebre, e in culture fra loro assai lontane, la maschera svolge la funzione di un paradossale ‘doppio’ e suggerisce una sorta di provvisoria identificazione con lo spirito dei defunti. Sulla scena drammatica la maschera assicura l’alterità radicale del personaggio (tragico o comico), offerto all’ambigua identificazione del pubblico in un contesto che per essere ludico non perde il suo carattere rituale, connesso in Attica, e non solo, alla figura di Dioniso, amante peraltro del ‘travestimento’, in quanto dio degli stadi liminari e delle metamorfosi.

[Federico Condello]