dirittura la regione, con le sue città “cosmopolite” e le sue molteplici comunità locali,
ma il mondo intero. La qual cosa equivale a dire che nella percezione di molti, alme-
no nelle società economicamente più progredite, il
mondo
sta rapidamente diventan-
do uno
spazio sociale ed economico comune
: una percezione che si è diffusa massic-
ciamente nel corso degli anni Novanta, dopo la caduta del sistema sovietico (e la fine,
quindi, della divisione del pianeta in due blocchi estranei e contrapposti) e in conco-
mitanza con l’esplosione delle tecnologie della comunicazione (Internet, telefono cel-
lulare, televisione satellitare).
La Terra, in altri termini, è divenuta un luogo finito, circoscritto. La maggiore accessi-
bilità si traduce in una profonda
trasformazione della nostra relazione con il piane-
ta
su cui viviamo. Un tempo la Terra era per gli esseri umani uno sterminato “mondo”
da esplorare, il territorio dell’ignoto e del fantastico. Oggi essa è una superficie “chiu-
sa”, appunto un “globo”, di cui si può più o meno facilmente raggiungere ogni pun-
to. La
globalizzazione
è chiamata così anche perché è quella caratteristica della socie-
tà contemporanea per cui, per la prima volta nella storia, gli
esseri umani riescono a
percepire
nella loro esperienza quotidiana
la
finitezza del globo terrestre
.
La società civile transnazionale
Sembriamo avviarci verso la costituzione di un’
uni-
ca società umana globale
, non più attraversata da barriere sociali e culturali stabilite
su base geografica. Il mondo sta diventando un unico sistema sociale profondamente
interconnesso, in cui quello che accade in qualsiasi angolo del pianeta è capace di in-
fluenzare la vita degli abitanti di tutto il resto del globo.
La società globale è anche detta
transnazionale
, poiché una delle sue caratteristiche
principali è di affermarsi indipendentemente dalla volontà dei singoli Stati, e spesso
contro di essa. Il fenomeno a cui stiamo assistendo non è tanto l’associarsi degli Stati
in forme di sovranità territoriale più ampia (come sta peraltro accadendo in alcuni casi:
si pensi per esempio al processo d’integrazione europea), quanto piuttosto l’incremen-
to della capacità dei vari soggetti sociali, siano essi individui oppure organizzazioni, di
agire senza dover fare i conti con le esigenze e la volontà degli Stati nazionali e con il lo-
ro bisogno di delimitarsi reciprocamente attraverso la definizione di confini geografici.
Condannati alla globalizzazione?
La connettività complessa, però, non è soltanto
un’opportunità, l’apertura di nuove possibilità di cui le persone possono liberamente
usufruire o non usufruire. Essa è una condizione sociale mondiale che permea la vita
delle persone trasformandola in modi non sempre desiderabili.
Capita per esempio che un’azienda debba chiudere, provocando un momento di gran-
de travaglio nella vita di molte persone e della comunità locale, in seguito a fatti o de-
cisioni avvenuti in altre aree del globo: perché si tratta – poniamo – di un impianto
produttivo di proprietà di una multinazionale neozelandese, il cui consiglio di ammi-
nistrazione ha deciso di dislocare la produzione in un paese in via di sviluppo, dove la
manodopera costa assai meno.
Simili
effetti indesiderati della globalizzazione
finiscono per generare, a volte, sen-
timenti xenofobi o razzisti in certe popolazioni o negli strati sociali più indifesi, e in
ogni caso dimostrano come essa non vada confusa con un processo di armonica inte-
grazione tra le culture mondiali. Ma, soprattutto, se per molti i processi di globalizza-
zione hanno significato un’apertura di nuovi orizzonti di vita, per moltissimi altri essi
sono solo un insieme di trasformazioni che aumentano la loro distanza dai benestanti
e dai privilegiati, rendendola insormontabile.
Q
ualche domanda
In che senso
la globalizzazione
si può definire uno
“stato di connettività
complessa”?
Perché
la società globale
è definita anche
“transnazionale”?
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