occidentale con forme di pensiero e di sensibilità che, per quanto notevoli, non poteva-
no comunque competere con le acquisizioni dell’Occidente.
La risposta di Lévi-Strauss a Caillos arrivò dalle pagine di un’altra rivista allora tra le più
importanti,
Les temps modernes
, fondata e diretta dal filosofo e scrittore Jean-Paul Sartre
(1905-1980)
2
,
Studiando la propria società l’etnografo deve prima porsi verso di essa con un distacco
completo quanto quello che avrebbe nei confronti di una qualsiasi piccola tribù africana
o melanesiana […]. Ma, se è vero che non potrà pretendere di esserci riuscito senza avere
incorporato la concezione della società e del mondo che ha l’africano o il melanesiano,
allora dovrà compiere uno sforzo supplementare nei confronti della propria civiltà: dopo
esserne uscito, rientrarvi. Ma non tornerà tale e quale era alla partenza […] Le condizioni
di vita e di lavoro dell’etnografo lo hanno in primo luogo estromesso dal suo gruppo per
lunghi periodi; a causa dei cambiamenti cui si è sottoposto, egli è vittima di una sorta di
sradicamento cronico: non si sentirà mai più a casa propria da nessuna parte. Il viaggio
qui presenta un valore di simbolo. Viaggiando, l’etnografo – a differenza del sedicente
esploratore e del turista – mette in gioco la propria posizione nel mondo, ne varca i limiti.
3
I “limiti” a cui Lévi-Strauss qui allude, sono quelli della tradizione culturale in cui si è
nati e cresciuti. In altri termini ogni cultura, per quanto progredita, ha dei limiti, per la
semplice ragione che le culture sono “tante”. Secondo Lévi-Strauss, Caillois rifiutava la
posizione relativista poiché, al pari di tanti altri, mal tollerava l’idea di appartenere a
una
cultura
tra
le altre
, un’idea che solo chi è uscito dalla propria per farvi poi ritorno (l’antro-
pologo) può accettare con consapevolezza e spirito critico.
Successivamente Lévi-Strauss e Caillois ebbero modo di incontrarsi e di discutere anco-
ra. Parecchi anni dopo, tuttavia, sarà proprio Caillois a tenere, in onore di Lévi-Strauss,
ormai una celebrità mondiale, il discorso di benvenuto alla Académie française:
“Signore, quando Lei risaliva i fiumi impassibili per addentrarsi nell’umidità di quei tropici
di cui ha raccontato la tristezza
4
, non si sarebbe aspettato, almeno presumo, di occupare
un giorno un seggio tra noi in questo abito non meno carico di ornamenti
5
di quanto lo
siano di pitture e tatuaggi i corpi degli indiani che Lei si dedicava a meglio conoscere e dai
quali ha avuto l’umiltà di dichiarare che riceveva lezioni.
Quella tra Lévi-Strauss e Caillos non è stata soltanto una disputa intellettuale. Le que-
stioni dibattute riguardavano – e riguardano tuttora – ogni individuo, il significato del
vivere all’interno di una determinata società e non di un’altra, e il rapportarsi con culture
diverse dalla propria.
In questa prospettiva
Razza e storia
è un testo da cui possiamo ancora imparare molte
cose. La prima è proprio quella che rendeva inquieto Roger Caillois: la consapevolezza
di far parte di una tradizione – l’Occidente – che, benché sia riuscita a dominare a lungo
il mondo con la forza della scienza, delle idee, della tecnica e anche delle armi, è
solo
una
tra le tante che hanno popolato e che popoleranno in futuro il pianeta.
2
. Esponente di spicco della corrente filosofica dell’esistenzialismo, fu un autore prolifico e versatile.
Avvicinatosi al marxismo, divenne sostenitore di una figura di intellettuale “impegnato”. Tra le sue nu-
merose opere, il romanzo
La nausea
(1938) e il saggio filosofico
L’essere e il nulla
(1943)
3.
Ora in R. Caillois e C. Lévi-Strauss,
Diogene coricato. Una polemica su civiltà e barbarie
, a cura di M.
Porro, Medusa, Milano 2004, pp. 102-103.
4.
Il riferimento è a
Tristi tropici
(1955), che farà conoscere Lévi-Strauss, anche al di fuori della cerchia
degli antropologi (vedi p. 64).
5.
Riferimento all’abito da cerimonia dei membri dell’Académie française, ricco di decorazioni.
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