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nello stabilire i criteri di equivalenza può ritenersi ragio-
nevolmente piccolo. Anzitutto, occorre specificare quali
sono le variabili importanti di cui bisogna controllare
l’equivalenza: queste variabili potrebbero essere il livello
intellettivo, il livello socio-economico, il carattere, ecc.
Quindi, è necessario scegliere i criteri migliori per valuta-
re queste equivalenze. In pratica, si procede partendo da
una popolazione già omogenea sotto parecchi punti di vi-
sta: bambini di una certa età, di uno stesso quartiere, stu-
denti di certe facoltà, operai di una stessa specialità, ecc.
In questo modo, tuttavia, la validità dei risultati resta li-
mitata ai campioni appartenenti a queste popolazioni e,
a rigore, non potrebbe essere generalizzata; perché una
generalizzazione sia rigorosamente fondata, occorrerebbe
un campionamento complesso, che fosse rappresentativo
di diversi tipi di popolazione, ma questo raramente si fa
nelle ricerche di laboratorio, specie per quelle variabili
come la percezione, la memoria, il condizionamento, che
si ritengono meno influenzabili dalle condizioni sociali
e culturali dei soggetti. Una volta scelto il tipo di popo-
lazione, si possono prendere i soggetti a caso, presuppo-
nendo che le inevitabili differenze individuali si compen-
sino tra loro. Questo metodo è valido quando i gruppi di
soggetti sono numerosi e la popolazione è molto omoge-
nea. In alternativa, quando si conoscono le variabili da
controllare, possono essere attuate prove preliminari per
accertare l’omogeneità o meno dei gruppi. […]
I gradi di equivalenza desiderati possono essere di due tipi:
a
ci si può accontentare delle medie e della variabilità dei
due gruppi (per esempio, assenza di differenze significa-
tiva tra i due gruppi nelle medie e nelle varianze);
b
si possono costituire dei gruppi «appaiati»: si scelgono
due a due i soggetti che ottengono punteggi uguali (o
simili, entro certi scarti ritenuti intollerabili) e li si as-
segna rispettivamente a uno dei due gruppi.
(R. Canestrari
, Psicologia generale e dello sviluppo
,
CLUEB, Bologna 1984, 2 voll.)
1.
Memorizzazione di informazioni.
2.
Relativa alla memoria.
“Come apprendiamo?”, “quali sono i con-
dizionamenti cui è soggetta la nostra ca-
pacità di memorizzazione?”. Queste domande sono alcuni de-
gli interrogativi che costituiscono lo sfondo della ricerca di la-
boratorio presa in esame da Canestrari. L’esperimento descrit-
to dall’autore illustra il caso di un ricercatore che si propone
di dimostrare l’incidenza dell’apprendimento di un materiale
nuovo sul ricordo di un materiale appreso precedentemente.
L’esecuzione dell’esperimento si articola in tre passaggi. In un
primo momento il ricercatore predispone la variabile dipen-
dente; nel caso in questione, un gruppo di soggetti che me-
morizza una lista di dati. In un secondomomento, il ricercatore
passa a introdurre una variabile indipendente; nel nostro caso,
una lista di nuove informazioni da apprendere. In un terzo
momento, lo studioso rileva lo stato di apprendimento della
prima lista a seguito dell’immagazzinamento della seconda li-
sta, per verificare in che misura l’intervento della variabile indi-
pendente abbia sminuito o cancellato il ricordo del materiale
appreso in precedenza. Nel corso dell’esperimento, il ricerca-
tore può intervenire sulla variabile indipendente, regolandone
la modalità d’inserimento e contenuti. Così facendo egli può
osservare la relazione tra variabile dipendente e variabile indi-
pendente a vari livelli: dal semplice rapporto di interdipenden-
za fra presenza e assenza della variabile indipendente, alla più
elaborata relazione funzionale tra modificazioni della variabile
indipendente e comportamento della variabile dipendente.
L’esperimento, infatti, può venire approfondito nel corso di
indagini via via più accurate e concentrate su aspetti deter-
minati. In genere, i risultati della prima indagine sono di tipo
qualitativo e per arrivare a determinazioni quantitative occor-
re proseguire con indagini successive, in cui la definizione di
entrambe le variabili è sottoposta a rigido controllo. Ad ogni
modo il fondamentale principio del metodo sperimentale è
quello di variare la variabile indipendente per poi osservare e
valutare le modificazione della variabile dipendente.
Le difficoltà principali messe in luce dall’autore, nella messa in
pratica di questi passaggi, stanno nel grado di controllo che il
ricercatore riesce a esercitare sulle variabili indipendenti. Oc-
corre che il ricercatore definisca in maniera chiara e univoca
i compiti da assegnare ai soggetti coinvolti nell’esperimen-
to; e, parimenti, che egli definisca un ordine delle consegne
adeguato ai soggetti esaminati, nella consapevolezza che
i soggetti dopo aver preso parte a una prima esercitazione
possono avere delle reazioni di facilitazione o inibizione. Gli
espedienti tecnici segnalati da Canestrari definiscono delle
modalità concrete per arginare questo genere di problemi.
Nel modificare le variabili indipendenti il ricercatore deve
prendere in considerazione anche un altro fattore: la sele-
zione dei soggetti coinvolti nell’esperimento e la costituzioni
dei gruppi. Qualora infatti si lavori con gruppi di popolazione
omogenei sotto molti punti di vista, si ottengono risultati ri-
stretti e non generalizzabili. Per poter ottenere risultati esten-
dibili a un numero di persone maggior si dovrebbe effettuare
un campionamento più complesso, tale da tener conto di di-
versi tipi di popolazione. Nelle ricerche di laboratorio, tutta-
via, ci si limita a considerare un tipo di popolazione soltanto,
per lo più numerosa e omogenea, prelevando a caso tra i sog-
getti che la compongono i protagonisti dell’esperimento. Le
risposte dei gruppi, così costituiti, possono essere esaminate
isolatamente o in maniera comparata.
Commento
Q
ualche domanda
Definisci il significato di variabile dipendente e quello
di variabile indipendente. Completa la tua definizione
riportando un esempio.
Qual è il fondamentale principio del metodo
sperimentale enunciato da Canestrari?
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