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se. Il passaggio da una tipologia all’altra implica capacità più alte di correlazione,
competenze più sviluppate di natura logico-simbolica e la familiarità con un mag-
gior numero di linguaggi comunicativi. Tutto ciò presuppone l’organizzazione di
adeguati ambienti di apprendimento nei quali sperimentare le modalità di acquisi-
zione delle abilità cognitive, cooperative ed emotive necessarie per il dominio per-
sonale degli strumenti telematici.
Le nuove tecnologie dell’informazione si propongono come potenti moltiplicatori della
capacità creativa e innovativa di singoli e gruppi. Gli apprendimenti mediati dalle tec-
nologie si situano all’interno di un’
ecologia della comunicazione
nella quale agiscono
o dovrebbero interagire virtuosamente le potenzialità dell’insegnamento in presenza, la
ricchezza (e l’arditezza) delle soluzioni tecniche di volta in volta messe a disposizione
e la capacità di elaborare strategie attive e “costruttive”. Ma tutto questo potrebbe an-
che non essere sufficiente e servire poco alla crescita della persona se si limita a restare
nell’orizzonte di un funzionalismo tecnologico sia pure di altissimo livello e in grado
di facilitare le conoscenze con soluzioni un tempo inimmaginabili.
Non basta insomma distribuire in modo capillare computer e moltiplicare i contatti
in rete per misurare il “progresso” nel campo infotelematico. Certamente chi possiede
più strumenti tecnologici e sa meglio maneggiarli gode di maggiori opportunità, ma il
cuore educativo del problema sta altrove e precisamente nella
qualità dell’esperienza
tecnologica
, cioè nella padronanza (e non sudditanza) strumentale, nella consapevo-
lezza critica e personale con cui l’individuo entra in rapporto con la quotidianità delle
nuove tecnologie e con gli ambienti che queste gli presentano. Di qui l’affacciarsi di un
ulteriore livello di riflessione e di analisi pedagogica: la formazione del “senso” nell’ap-
proccio alle tecnologie informatiche.
Invocare il solito “supplemento di anima”, nel timore che la macchina possa sovrasta-
re la libertà e la volontà dell’individuo rendendolo un soggetto inconsapevole e uno
strumento fra gli strumenti, è forse un po’ retorico. Tuttavia, non è inutile sottolineare
come la qualità di qualsiasi esperienza umana dipenda dalla capacità di viverla in for-
ma critica e consapevole. La persona capace di giudizio si preoccupa non solo di “co-
me fare”, ma si interroga anche su “perché fare” e “se è bene fare in quel modo”. La ra-
gione tecnologico-tecnica non può infatti fondare o legittimare nessuna forma di uma-
nesimo oltre le proprie procedure, e la razionalità strumentale in cui si esprime rima-
ne legata al sistema autoreferenziale dei propri linguaggi e delle proprie regole formali.
Neppure la realtà delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione si
sottrae a questo semplice, ma fondamentale criterio. Esse non sfuggono infatti alla ten-
tazione di presentarsi quasi come una nuova ontologia capace di produrre coscienza e
orizzonti di tipo etico-educativo.
Pensare alla dimensione di senso a proposito dell’educazione alla multimedialità non
significa, dunque, compiere un’indebita commistione fra tecnologia e teleologia, fra
tecnica e valori. Si rinvia piuttosto alla necessità di interrogarsi su quali siano gli sco-
pi prossimi e ultimi delle operazioni che si possono fare, disponendo di mezzi infi-
nitamente più sofisticati di quelli tradizionali, così avanzati da rischiare di apparire
come onnipotenti ai più sprovveduti. Ma qualunque azione umana è, in ogni caso,
governata da uno scopo rispetto a cui l’individuo può essere soggetto di decisione op-
pure semplice oggetto/strumento di un’azione determinata da altri. Anche in questo
caso “
perché si fa
” è più importante di “come si fa”.
Q
ualche domanda
Quali sono i tre nuclei
intorno ai quali
si sviluppa
l’educazione
alla multimedialità?
Per quale motivo
non è sufficiente
raggiungere
un funzionalismo
tecnologico?
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