Page 40 - 120900029664_alberghina_la_biologia

Basic HTML Version

ezione
E
j
Le basi molecolari dell’ereditarietà: genetica ed evoluzione
S
34
Fig. 41
Struttura di un trasposone semplice, complesso e di un
plasmide. I plasmidi (che abbiamo già conosciuto nella cellula pro-
cariote) sono anelli di DNA presenti spesso in gran numero, fino a
100, nei batteri, e possono essere liberi o integrati nel DNA.
Fig. 40
Barbara McClintock pubblicò i suoi primi studi sui geni mobili
nel 1951, solo due anni prima del “modello a doppia elica” del DNA,
suscitando nella comunità scientifica molte polemiche. A quel tempo
i geni erano ritenuti unità genetiche dalla posizione fissa e la genetica
molecolare era ancora agli inizi.
Trent’anni dopo la dimostrazione
che la diversa pigmentazione delle
cariossidi del mais era legata a uno
spostamento fisico di geni, si scoprì
che tutti gli organismi procarioti ed
eucarioti possiedono trasposoni.
cuni metalli pesanti come mercurio, cadmio e piombo in forme
meno nocive.
Tra batteri e plasmidi si instaura una specie di simbiosi:
i primi infatti traggono vantaggio dai plasmidi poiché da essi
acquisiscono una maggiore variabilità genetica che può forni-
re loro vantaggi enormi, quali la resistenza agli antibiotici; per
contro, consentono la replicazione, pur se in modo limitato,
del plasmide stesso, così da assicurare anche alla cellule figlie
analoghi vantaggi.
Coniugazione, trasformazione e trasduzione
sono tre modalità con cui i batteri trasferiscono
geni e introducono cambiamenti nel DNA
La cellula procariote, grazie alla capacità di “trasferimen-
to” dei plasmidi, è in grado di trasferire geni ad altre cellule
batteriche della stessa specie o di specie differenti. Tale feno-
meno può avvenire in tre modalità: la coniugazione, la trasfor-
mazione e la trasduzione.
La
coniugazione
è l’unione di due batteri tramite la for-
mazione di lunghe strutture proteiche dette
pili
utilizzate per
trasferire materiale genetico (
fig. 42
). Nel corso dello scambio
un batterio funge da
donatore
e l’altro da
accettore
. Quello
donatore possiede un
plasmide F
(da
Fertility
) costituito da
25 geni, molti dei quali coinvolti nella formazione dei pili ed è
perciò detto
F
+
; il batterio ricevente, che non ha plasmidi F, è
detto
F
.
Nel corso della coniugazione uno dei due filamenti di
DNA del plasmide F si trasferisce nella cellula F
dove poi fun-
gerà da stampo per il filamento complementare; in tal modo, il
batterio F
diviene un batterio F
+
e potrà a sua volta coniugarsi
con un altro F
. Il filamento rimasto nella cellula batterica F
+
donatrice iniziale, nel corso della coniugazione, ha fatto a
sua volta da stampo per un secondo filamento.
Il plasmide ha un’altra proprietà: può integrarsi nel
cromosoma batterico. Può così accadere che nella coniu-
gazione esso trasferisca, oltre a se stesso, anche una parte
del cromosoma batterico che si integrerà con quello della
cellula ricevente. Più a lungo dura la coniugazione, mag-
giore sarà il numero di geni trasferiti.
La
trasformazione
è l’incorporazione in un batterio
di DNA nudo presente nell’ambiente esterno, per esempio
plasmidi di un cellula batterica morta (
fig. 43
).
La
trasduzione
è un fenomeno particolare di trasfe-
rimento di DNA, legato alla presenza di
virus
. Tra poco
vedremo più approfonditamente come sono strutturati i
virus e come si comportano; al momento basti dire che essi
infettano le cellule batteriche (o eucariote) e si replicano al
loro interno. La trasduzione è dunque il meccanismo per
cui i virus che si sono formati all’interno di una cellula ospite
ne fuoriescono portando con sé alcuni frammenti di DNA, che
in seguito introducono all’interno di nuove cellule ospiti in cui
penetrano (
fig. 44
).
Fig.12.23 trasposone
b)
a)
c)
trasposone
semplice
trasposone
complesso
plasmide
gene per
la trasposasi
gene per la
resistenza a
un antibiotico
plasmide
geni per la
resistenza
agli antibiotici
gene per la trasposasi
C12_006_049_EFG.indd 34
08/02/12 09.45