T.4
John H. Elliot
Gli europei vedono
ciò che si aspettano
di vedere
Autore:
John H. Elliot (1930-vivente),
storico inglese
Testo tratto da:
Il vecchio e il nuovo
mondo. 1492-1650
, Il Saggiatore, Milano
1985, pp. 34-35
Data della prima pubblicazione:
1970
Partendo dalla constatazione che le prime infor-
mazioni che abbiamo sul Nuovo Mondo furono
opera di uomini di differenti esperienze, ma tutti
ugualmente incapaci di comunicare direttamente
con le popolazioni amerinde di cui non conosce-
vano né la lingua né la cultura - che apparivano
anzi profondamente diverse dalle loro -, John
Elliot pone in evidenza i limiti e gli inevitabili
pregiudizi che segnarono le loro osservazioni e
invita a riflettere sulla difficoltà di descrivere l’al-
tro senza attrarlo nel campo familiare del proprio
mondo conosciuto.
Soldati, sacerdoti, mercanti e funzionari di
formazione giuridica: queste sono le classi di
uomini da cui ricaviamo la maggior parte del-
le osservazioni dirette di cui disponiamo sul
nuovomondo e i suoi abitanti. Ciascuna clas-
se tradiva limiti e pregiudizi suoi propri […]
Nelle lettere di resoconto di Cortés, si può
vedere all’opera il processo di osservazione
quando il condottiero cerca di portare l’eso-
tico nel campo del familiare, scrivendo dei
templi aztechi come si trattasse di moschee,
o paragonando il mercato di Tenochtitlán a
quello di Salamanca […]
È difficile sottrarsi all’impressione che gli
europei del Cinquecento fin troppo spess
vedessero ciò che si aspettavano di vedere
Questo non dovrebbe davvero essere mo
tivo di sorpresa o ilarità, perché è possibi
le che la mente umana abbia un bisogn
intrinseco di ricadere nell’oggetto familia
re e nell’immagine consueta, in modo d
superare lo shock provocato da ciò che l
appare insolito. La vera prova giunge pi
tardi, e consiste nella capacità di affrontar
l’ignoto senza mediazioni di sorta. Alcun
europei, specialmente quelli che trascorse
ro un lungo periodo nelle Indie, superaro
no con successo questa prova. L’incipient
percezione dell’ampia divergenza che esiste
va fra la loro immagine interiore e la realt
li costrinse ad abbandonare gradualment
i modelli tradizionali e i pregiudizi acqui
siti. L’America era infatti un mondo nuov
e diverso, e della realtà di tale differenza s
di valore interamente negativo sull’altro; se
al successo nella conoscenza si fosse accom-
pagnato un rifiuto assiologico
1
. Si potrebbe
credere che gli spagnoli, avendo imparato a
conoscere gli aztechi, li avessero trovati così
spregevoli da considerarli indegni di vive-
re, loro e la loro cultura. Ma, a leggere gli
scritti dei
conquistadores
, si vede che le cose
stanno altrimenti e che, almeno su un certo
piano, gli aztechi suscitano l’ammirazione
degli spagnoli. [...]
Cortés è convinto che le meraviglie che ve-
de sono le più grandi del mondo. «Non c’è
al mondo principe conosciuto che possieda
cose di tale qualità.» «Montezuma mi dette
molti abiti suoi, che, tenuto conto che era-
no fatti di cotone e non di seta, in tutto il
mondo non si poteva farli meglio, né di tanti
e così diversi colori e modelli.» [...] Bernal
Diaz scrive malinconicamente, evocando la
sua prima visione di Città del Messico: «Dico
ancora che, ammirando quello spettacolo,
non potevo credere che al mondo fosse stato
scoperto un paese paragonabile a quello in
cui noi ci trovavamo. […] Oggi quella cit-
tà è interamente distrutta e di essa non re-
sta in piedi più nulla». Lungi dal dissiparsi,
dunque, il mistero si infittisce. Gli Spagno-
li non solo comprendevano piuttosto bene
gli Aztechi, ma addirittura li ammiravano; e
tuttavia li hanno annientati. Perché?
Rileggiamo ancora le frasi ammirative di Cor-
tés. Una cosa ci colpisce: tranne poche eccezio-
ni, esse riguardano tutte degli oggetti (l’archi-
tettura delle case, le merci, i tessuti, i gioielli).
«IL PARADOSSO DELLA
COMPRENSIONE-CHE-UCCIDE:
GLI SPAGNOLI COMPRENDONO
GLI AZTECHI, MA LI ANNIENTANO»
Simile al turista d’oggi, che, quando viag-
gia in Africa o in Asia, ammira la qualità
dell’artigianato senza che lo sfiori nemme-
no l’idea di condividere la vita degli artigia-
ni che producono quegli oggetti, Cortés va
in estasi davanti alle produzioni azteche,
ma non riconosce i loro autori come indi-
vidui umani da porre sul suo stesso pia-
no. Un episodio successivo alla conquista
illustra bene questo atteggiamento: quan-
do Cortés fa ritorno in Spagna alcuni anni
dopo la conquista, lo vediamo mettere in-
sieme un campionario molto significativo
di tutto quel che per lui c’era di notevole
nel Paese conquistato. «Aveva raccolto un
gran numero di uccelli diversi da quelli di
Castiglia – cosa veramente degna di esse-
re veduta –, due tigri, molte botti di liqui-
dambar
2
, del balsamo indurito, un altro
balsamo liquido come l’olio, quattro in-
diani considerati maestri nell’arte di far
volteggiare le bacchette coi piedi (gioco
interessante per la Castiglia e per ogni al-
tro Paese), e altri indiani, abili danzatori,
i quali facevano tali acrobazie che sembra-
va quasi volassero nell’aria. Aveva portato
con sé anche tre indiani gobbi e nani, col
corpo mostruosamente contratto.» È noto
che questi giocolieri e questi mostri susci-
teranno una grande ammirazione alla cort
di Spagna e dinanzi al papa Clemente VII
dove poi si esibiranno. […]
«CORTÉS AMMIRA
LA CIVILTÀ AZTECA,
MA CONSIDERA INFERIORI
I SUOI RAPPRESENTANTI»
Cortés si interessa alla civiltà azteca, e a
tempo stesso le resta completamente estra
neo. Non è il solo: nello stesso modo s
comportano molte persone illuminate de
suo tempo. […] Per dirla altrimenti: nel mi
gliore dei casi, gli autori spagnoli parlan
bene degli indiani, ma – salvo alcune ecce
zioni – non parlano mai agli indiani. Ma
solo parlando all’altro (non dandogli degl
ordini, bensì aprendo un dialogo con lui
che io gli riconosco la qualità di soggetto
paragonabile a quell’altro soggetto che son
io. [...] Se il comprendere non si accompa
gna al pieno riconoscimento dell’altro com
soggetto, allora questa comprensione rischi
di essere utilizzata ai fini dello sfruttamen
to, del «prendere»; il sapere risulterà subor
dinato al potere.
1.
Relativo ai valori.
2.
Estratto di piante dai poteri curativi.
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