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“Città-mondo”, 
differenze 
e ineguaglianze 
Nel mondo
surmoderno
, sottoposto
alla triplice accelerazione delle cono-
scenze, delle tecnologie e del merca-
to, il divario tra la rappresentazione
di una globalità senza frontiere che permetterebbe a beni,
esseri umani, immagini e messaggi di circolare senza li-
mitazioni, e la realtà di una pianeta diviso, frammentato,
in cui le divisioni negate dall’ideologia del sistema si ri-
trovano al cuore stesso del sistema, si fa sempre maggiore.
Si potrebbe contrapporre l’immagine della città-mondo,
quella
metacittà virtuale
, secondo l’espressione coniata da
Paul Virilio
3
, costituita dalle vie di circolazione e dai mezzi
di comunicazione che abbracciano il pianeta intero nella
loro rete e diffondono l’immagine di un mondo sempre
più omogeneo, alle dure realtà della città-mondo in cui si
ritrovano e anche si scontrano differenze e ineguaglianze.
La frontiera 
come divieto 
L’urbanizzazione del mondo consiste
al tempo stesso nell’estensione del tes-
suto urbano lungo le coste e i fiumi e
nell’infinita crescita delle megalopoli, ancora più rilevante
e cospicua nel Terzo mondo. È questo fenomeno la verità
sociologica e geografica di quella che chiamiamo mondia-
lizzazione o globalizzazione, ed è una verità infinitamente
più complessa dell’immagine della globalità senza frontiere
che funge da alibi per gli uni e da illusione per gli altri.
Oggi dobbiamo quindi ripensare la frontiera, questa
realtà continuamente negata e continuamente riafferma-
ta. Il fatto è che essa si riafferma spesso sotto forme in-
durite che fungono da divieto e comportano esclusioni.
Occorre ripensare il concetto di frontiera per cercare di
comprendere le contraddizioni che colpiscono la storia
contemporanea.
Frontiere 
naturali 
e culturali 
Molte culture hanno simbolizzato il
limite e il crocevia, luoghi particolari
in cui si gioca una parte dell’avventura
umana quando uno parte all’incontro
dell’altro. Esistono frontiere naturali (montagne, fiumi,
stretti), frontiere linguistiche, frontiere culturali o politi-
che. La frontiera segnala anzitutto la necessità di apprende-
re per comprendere. Naturalmente l’espansionismo ha
trascinato alcuni gruppi a violare i confini per imporre ad
altri la propria legge, ma è capitato che, anche in questo
caso, il superamento della frontiera non sia stato privo di
conseguenze per coloro che lo hanno compiuto. La Grecia
vinta ha civilizzato Roma e contribuito al suo fulgore intel-
lettuale. In Africa i conquistatori adottavano tradizional-
mente le divinità dei popoli sui quali avevano trionfato.
La frontiera 
come 
esplorazione 
e superamento 
Le frontiere non si cancellano, si ri-
tracciano. È ciò che ci insegna il mec-
canismo della conoscenza scientifica,
che progressivamente sposta le fron-
tiere dell’ignoto. Un sapere scientifi-
co non è mai concepito come assoluto; è ciò che lo distin-
gue dalle cosmologie e dalle ideologie: all’orizzonte ha
sempre nuove frontiere.
La frontiera, in questo senso, ha sempre una dimensione
temporale: è la forma dell’avvenire e, forse, della speranza.
Non dovrebbero dimenticarlo gli ideologi del mondo con-
temporaneo che, di volta in volta, soffrono di eccessivo ot-
timismo o di eccessivo pessimismo, in ogni caso di troppa
arroganza. Non viviamo in un mondo compiuto, del quale
non avremmo che da celebrare la perfezione. Non viviamo
nemmeno in un mondo inesorabilmente abbandonato alla
legge dei più forti o dei più folli. Viviamo innanzitutto in
un mondo in cui la frontiera tra democrazia e totalitari-
smo esiste ancora. Ma l’idea stessa di democrazia è sempre
incompiuta, sempre da conquistare. Come quella della
politica scientifica, la grandezza della politica democratica
risiede nel rifiuto delle totalità perfette e nel fatto di porsi
delle frontiere per esplorarle e superarle.
Nel concetto di globalizzazione, e in coloro che si richia-
mano ad esso, c’è un’idea di compiutezza del mondo e
di arresto del tempo che denota un’assenza d’immagina-
zione e un invischiamento nel presente profondamente
contrari allo spirito scientifico e alla morale politica.
(M. Augé,
Per una antropologia della mobilità
,
Jaca Book, Milano 2010)
1.
Riferimento al politologo statunitense Francis Fukuyama (1952) e al
suo saggio
La fine
della storia e l’ultimo uomo
(1992). Secondo Fukuyama
la storia si compie (“finisce”) con l’avvento delle democrazie liberali. Per
Augé, invece, la democrazia autentica è sempre in costruzione perché sem-
pre nuovi sono i problemi che la società pone.
2.
Allusione, per esempio, al
fondamentalismo islamico (p. 321) e a gruppi terroristici come
al-Qaeda
che vorrebbero distruggere il sistema di vita occidentale e che, proprio per
questo, potrebbero raccogliere consensi tra quanti, nel mondo musulmano,
si sentono sfruttati dalla politica economica dei Paesi europei e degli Stati
Uniti.
3.
Filosofo, sociologo e teorico culturale francese (1932), autore di
scritti importanti sullo sviluppo della tecnologia in relazione al potere.
Q
ualche domanda
Quali sono le “nuove barriere” di cui parla l’autore? E
cosa le determina?
Nel testo emerge un’idea positiva di frontiera: quale?
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