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capitolo 8
Giovanni Boccaccio
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zioni linguistiche e culturali più che quelle politiche. Non a caso egli tenta più volte di
ritornare a Napoli, non trovandovi però le accoglienze e le aspettative sperate. Nel 1345,
inoltre, si sposta a Ravenna, alla corte di Ostasio da Polenta, e successivamente a Forlì,
presso Francesco degli Ordelaffi, in cerca di protezione e incarichi che gli garantiscano
la tranquillità economica.
Nel 1348 rientra a Firenze, devastata dalla grande peste, e lì vede scomparire il padre
e alcuni degli amici più cari: Matteo Frescobaldi, Giovanni Villani, Francesco da Bar-
berino, Sennuccio del Bene. Dopo l’epidemia, il peso della famiglia grava su di lui, ed
è costretto a impegnarsi ancora di più al servizio del Comune. Frequenta a lungo un
cenacolo di spiriti intelligenti, collocati fra tradizione volgare e incipiente Umanesimo
(Coluccio Salutati, Filippo Villani, Luigi Marsili, Martino da Signa), che si riuniscono
presso il convento agostiniano di Santo Spirito.
Intanto, prosegue indefessamente la sua attività intellettuale e letteraria, culminante
negli anni fra il 1349 e il 1352 nella composizione del
Decameron
. Crescono la sua fama
e il suo prestigio, ed egli diventa una figura eminente della realtà comunale del tempo,
facendo istituire presso lo studio Firenze, nel 1359, la prima cattedra di greco.
Nella fase finale della sua attività si consolidano e aumentano gli interessi più diretta-
mente umanistici ed eruditi, anche sotto l’influenza dell’amico Petrarca. Le sue opere
in latino si collocano in maggioranza in questa ultima fase.
Nel 1361-1362, stanco e deluso, si ritira a Certaldo nella casa di famiglia. Nel 1373-1374 il
Comune gli affida il compito di leggere e commentare la
Commedia
di Dante nella chiesa
di Santo Stefano di Badia, ma non riesce ad andare al di là del canto XVII dell’
Inferno
a causa delle cattive condizioni di salute. Muore il 21 dicembre 1375, a poco più di un
anno di distanza dalla scomparsa di Petrarca.
3. La personalità letteraria di Boccaccio
La cultura di Boccaccio è coerente con la sua più generale componente esistenziale,
fatta di medianità e tranquillità. Naturalmente, anch’egli si colloca entro il movimento
umanistico che anima tutta questa età: sotto l’influenza di Petrarca o autonomamente,
è convinto che gli antichi siano in tutto e per tutto superiori ai moderni, e specialmente
nell’ultimo periodo della sua vita si dedicherà a ricerche volte a riscoprire e aggiornare
il sapere e le tradizioni della cultura antica. Tuttavia, in lui predomina assolutamente
la tradizione volgare, e si può parlare perciò di un solido monolinguismo (del volgare),
cui si aggrega una porzione molto più circoscritta e limitata di produzione in latino.
Anche il catalogo delle sue letture è meno canonico e più personale rispetto a quanto
allora in uso: Dante e Petrarca sono fondamentali per lui, ma come lettore ignora le
rigide distinzioni della cultura precedente e legge tutto ciò che vuole. Naturalmente le
sue preferenze vanno in primo luogo alla letteratura e ai testi d’amore, dunque a tutti i
poeti della tradizione volgare, dai provenzali ai toscani, con una particolare predilezione
per lo stilnovo e per Petrarca; ma anche ai latini, soprattutto l’Ovidio delle
Heroides
(“Let-
tere di eroine”), dell’
Ars amandi
(“L’arte di amare
) e delle
Metamorfosi
; il Virgilio cantore
della passione di Didone nell’
Eneide
e ovviamente il
De amore
di Andrea Cappellano.
Un altro settore importante della cultura letteraria boccacciana è occupato dalla nar-
rativa (in prosa e in versi) di ascendenza bretone: le varie opere di Chrétien de Troyes
1348-1361
la peste e l’attività
letteraria
1361-1375
Gli ultimi anni
a certaldo:
amicizia con Petrarca
e interessi eruditi
la scelta del volgare
le letture:
amore e cavalleria
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