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STORIA
Il Trecento
pio, la rivolta dei cosiddetti Ciompi, i miseri lavoranti della lana che tentavano di imporre una
loro rappresentanza nel governo del Comune accanto alle potenti corporazioni delle Arti e dei
banchieri, viene soffocata nel sangue dalle classi proprietarie (1378), dando vita a una gestione
del potere sempre più ristretta e gelosa dei propri privilegi. Infine, anche dal punto di vista eco-
nomico la floridezza precedente viene messa in forse da molti motivi: nel 1345 la ricca banca dei
Bardi (famiglia magnatizia fiorentina) fallisce per l’impossibilità di recuperare un ingente credito
imprudentemente concesso al re d’Inghilterra Edoardo III.
Mentre il Comune decade, cresce invece un’altra istituzione politico-statuale anch’essa tipicamente
italiana, e cioè la signoria. Laddove le lotte di fazione si erano più violentemente sviluppate o le
stesse strutture comunali erano state fin dall’inizio più fragili per la presenza di una o più potenti
famiglie nobiliari desiderose di primeggiare, crescono a poco a poco la tentazione e il bisogno
di affidare tutto il potere a uno solo, il signore, appunto. La democrazia comunale resiste più a
lungo dove è più radicata, per esempio in Toscana oppure nelle Repubbliche marinare, Venezia
e Genova, peraltro in furibondo e autodistruttivo conflitto fra loro.
Nell’Italia settentrionale e, in parte, nell’Italia centrale, invece, la lontananza del pontefice dai
propri territori incentiva lo scatenarsi delle ambizioni dei signorotti locali, che se ne ricavano i
propri domini, sia nelle Romagne sia nelle Marche sia in Umbria; in queste zone le signorie vanno
sostituendo quasi dappertutto i Comuni. Prima della fine del
XIII
secolo troviamo già insediati
come signori gli Scaligeri a Verona, i da Carrara a Padova, i da Camino a Treviso, gli Este a Fer-
rara, i Gonzaga a Mantova, i da Polenta a Ravenna, i Montefeltro a Urbino, i Visconti a Milano.
Le signorie sono spesso in lotta fra loro e con i Comuni che ancora resistono alla loro naturale
spinta espansiva. L’intero secolo è percorso da questa ondata di guerre e guerricciole, nelle quali
cominciano ad apparire (proprio con la scomparsa della milizia cittadina, organicamente legata
all’istituto comunale) le truppe mercenarie e le compagnie di ventura.
Nel Mezzogiorno perdura invece il dominio degli Angioini, fiorente soprattutto nella prima metà
del secolo sotto il regno di Roberto (1309-1343), appoggiato energicamente dai papi francesi e
aiutato finanziariamente dai mercanti e dai banchieri fiorentini, che assumono a Napoli un ruo-
lo preminente. In seguito, però, e fino all’inizio del
XV
secolo, quello che veniva denominato per
antonomasia «il Regno» è squassato da crisi ricorrenti, che ne minano il ruolo europeo e italiano.
A Roma la lunga vacanza del potere papale disfrena le lotte tra le grandi
famiglie nobiliari (soprattutto Colonna e Orsini) per la supremazia. In
questo clima di marasma e di incertezza è possibile l’avventura di Nicola di
Lorenzo, detto romanescamente Cola di Rienzo (1313). Di umili origini,
avviato alla professione notarile, di buone letture umanistiche, solleva il
popolo contro la tirannia dei nobili e viene eletto nel 1347 tribuno (carica
che riprende nostalgicamente l’antica istituzione romana del tribuno
della plebe). Cola di Rienzo si ispira a una sorta di restaurazione dell’an-
tica grandezza romana, oscillando tra
simpatie repubblicane e nostalgie filo-
imperiali. Suscita entusiasmi immensi.
Francesco Petrarca è uno dei suoi più
accesi sostenitori. Attraverso una serie
di sfortunate vicende il suo potere e la
sua autorevolezza verranno rapidamen-
te decadendo, finché nel 1354 il popolo
stesso, ribellatosi, lo uccide, facendo
strazio del suo corpo.
L’ascesa della signoria
L’Italia meridionale:
il regno angioino
A Roma: la repubblica
di Cola di Rienzo
Girolamo Masini,
Monumento a Cola di
Rienzo a Roma
, 1887.
Attività di banchieri italiani,
miniatura,
XIV
secolo.
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