«Predicare in piazza»: demagoghi e comizianti nel romanzo dell’Ottocento, fra Monti, Manzoni e D’Annunzio

Gli obiettivi


L’antico e illustre istituto letterario del «comizio» assume un nuovo e più significativo spessore quando la massa (neologismo che infastidiva Leopardi) diventa un «personaggio» inaggirabile della letteratura nell’età delle Rivoluzioni borghesi. L’arringatore della folla in rivolta si confonde così sempre più con il demagogo che appare disposto a imbrogliare il popolo con la parola. La lezione prenderà in considerazione alcuni casi sintomatici del tema, dai primi esempi che risalgono alla stagione napoleonica (Monti), alle straordinarie pagine delle «prediche» di Ferrer e di Renzo nei Promessi sposi, dalla letteratura verista fino ai romanzi di De Roberto e di D’Annunzio.

 

Si parlerà di:



  • Dopo la rivoluzione. Nel Caio Gracco di Vincenzo Monti (1801) il tribuno della plebe e l’ottimate Opimio si contendono con i loro comizi il favore del popolo.

  • «Ho imparato a non predicare in piazza». Nello straordinario affresco della rivolta di San Martino Fermo e poi Renzo prendono la parola in piazza, dopo l’arringa mendace di Ferrer. Il confronto tra le diverse redazioni del romanzo appare, anche sul punto, rivelatore.

  • La Zuppidda, Carlino e altri comizianti. Dai Malavoglia alle Confessioni di un italiano: il modello manzoniano del comizio di Renzo appare fecondo di nuove prospettive ideologiche.

  • I deputati «miagolavano». Finita – o forse solo esorcizzata – la paura della violenza della piazza, i modi del comizio si trasferiscono nelle aule parlamentari (e dunque nel romanzo parlamentare), dove una nuova ingenua populace è pronta ad essere soggiogata dal demagogo più abile e spregiudicato.

  • «Una smisurata chimera occhiuta»: la folla e il poeta. Il percorso si concluderà con il riferimento all’opera di D’Annunzio. Stelio Effrena, nel Fuoco, piega la «spaventosa» folla che lo ascolta con la forza della parola.



Relatore


Duccio Tongiorgi è docente all’Università di Genova, si è occupato della cultura italiana dell’Illuminismo e dell’età napoleonica (Nelle grinfie della storia, 2003). Ha studiato gli insegnamenti letterari nell’università del Settecento e contribuito a promuovere ricerche sui rapporti tra reti diplomatiche e comunicazione letteraria (Diplomazia e comunicazione letteraria nel secolo XVIII, 2017; La diplomatie des lettres au dix-huitième siècle, 2019). Si è occupato della letteratura del XIX secolo, con studi tra l’altro manzoniani (Il mondo sottosopra, 2012), rivolti alle antologie scolastiche (Solo scampo è ne’ classici, 2009) e al periodo risorgimentale (La vittoria macchiata, 2012; Disarmonie di una nazione, 2020). Di ambito novecentesco sono invece le indagini sul rapporto tra letteratura e industria, su Sinisgalli, Svevo e Bontempelli. Fa parte del Consiglio Scientifico della Società Italiana Studi sul Secolo XVIII. È tra i promotori del progetto META – Metastasio’s Epistolary Texts Archive.

 

 

Dal nostro catalogo Università e saggistica

DISARMONIE DI UNA NAZIONE

di Duccio Tongiorgi
Il discorso letterario - è noto - ricoprì un ruolo fondamentale per l'affermazione dei miti costituenti l'idea di nazione. Una funzione che non si esaurì affatto con l'approdo istituzionale delle lotte risorgimentali ma anzi ebbe una rilevanza (se è possibile) anche maggiore quando si cercò faticosamente di far coincidere i modelli identitari con la concreta esperienza del nuovo Stato. Questo libro ripercorre settanta anni di storia osservando alcuni episodi che paiono tanto più esemplari quanto più problematici rispetto a questo «ufficio» (per dirla con Foscolo) della letteratura. Dalle vicende di Monti in età napoleonica, sostenitore di una prospettiva nazionale prima e poi poeta (apparentemente omologato) del «Governo», alla figura di Rasori, grande letterato 'europeo', eppure isolato da Classici e Romantici; dall'istituto del comizio popolare, parodizzato in molte pagine romanzesche, alla rappresentazione polemica delle sconfitte militari del Risorgimento, i saggi di questo volume cercano quindi di porre lo sguardo soprattutto sugli accenti disarmonici, sulle memorie non condivise e forse, talvolta, un po' trascurate.
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