«Può essere castigo, può essere misericordia…». Dei delitti e delle pene

La giustizia è il cardine attorno al quale ruota gran parte dell’opera di Alessandro Manzoni. Nei ‘Promessi Sposi’ la riflessione attorno a questo tema assume un particolare rilievo, come dimostra il travagliato percorso intellettuale che va dalla prima stesura di ‘Fermo e Lucia’ fino alla ‘Storia della Colonna Infame’. Due opere che nascono insieme, che poi divergono per convergere di nuovo nella stesura finale dei ‘Promessi Sposi’. 

E’ la corruzione degli uomini a stravolgere le leggi e a rendere impotente la Giustizia. Nella ‘Colonna Infame’ la condanna è senza appello. Ma nel romanzo questa denuncia s’incarna nei personaggi e va oltre: la Giustizia, per Renzo, per Lucia, non è un ideale astratto o ultraterreno, ma una questione da cui dipende la felicità quotidiana.

Le leggi sono figlie di una società ingiusta, i giudici possono essere uomini codardi e corrotti, eppure si può operare secondo giustizia. Ricorrendo alla misericordia e alla fede, come dice il cardinal Borromeo prima all’Innominato e poi a don Abbondio. O cercando una diversa relazione con il mondo e con gli altri. Don Rodrigo e l’Innominato, per esempio, sono uniti dai loro privilegi di classe, ma divisi da un diverso sentimento della vita, che renderà l’uno irredimibile e l’altro inquieto, pronto a cambiare.

La peste arriva come una punizione cieca, che colpisce innocenti e colpevoli. Ma sono gli uomini, con la loro ignoranza e superstizione, a renderla insensata e ancora più crudele. La peste è una malattia, ma gli ‘untori’ sono un’invenzione umana. D’altronde, a secoli di distanza, non abbiamo avuto anche noi la nostra ‘caccia agli untori’, durante la pandemia di covid?

La ‘colonna infame’ fu una colonna reale, non solo simbolica. Un monumento eretto sulle macerie della casa dell’untore immaginario raccontato dal Manzoni. La colonna fu abbattuta un secolo più tardi, quando fu chiaro che l’infamia era dei giudici. Ma fu giusto abbatterla? E’ giusto abbattere i monumenti che ci ricordano le infamie degli uomini? Un interrogativo che, ai giorni nostri, si pongono in molti. 

Così come ci si interroga sulla funzione del carcere e delle pene. 

L’uso della tortura per stabilire la colpevolezza o l’innocenza di un accusato era al tempo dei ‘Promessi sposi’ prassi normale. Nella ‘Colonna Infame’, che non a caso venne pensata come parte (e poi appendice) del romanzo, Manzoni ne mostra tutta la feroce irrazionalità.

Oggi, per noi, cosa significa pensare ai ‘delitti e alle pene’? Significa procedere lungo la via che ci viene indicata dalla nostra Costituzione, nell’articolo 27. Un articolo che ci dice molto su ciò che è stato e su ciò che ancora deve essere.




Relatrice


Maria Rosa Cutrufelli ha fatto parte della redazione della rivista femminista «Noi Donne» e per alcuni anni ha insegnato Scrittura creativa all’Università «La Sapienza» di Roma. Ha inoltre curato antologie di racconti, collaborato a riviste e quotidiani, scritto radiodrammi, libri di viaggio e saggi. Tra i suoi molti romanzi, oltre al capolavoro La briganta (1990), ricordiamo La donna che visse per un sogno (2004) e L’isola delle madri (2020).

 

Moderatore


Matteo Billeri, Consulente Editoriale Area Umanistica Scuola Secondaria di Secondo Grado - Mondadori Education