Raggiunto finalmente un accordo internazionale per la tutela degli oceani

di Chiara Anzolini

  • Materie coinvolte: Biologia e Scienze della terra

Raggiunto finalmente un accordo internazionale per la tutela degli oceani

Il mare non è più terra di nessuno. Dopo quasi 15 anni di negoziazioni, rinvii, convegni e discussioni, il 4 marzo scorso gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno siglato il primo Trattato internazionale per la tutela dell’Alto Mare. Si tratta di un traguardo storico e per nulla scontato, che mira a tutelare tali porzioni degli oceani, al fine di proteggerli dalle attività che minacciano la salvaguardia di ecosistemi vitali per la biodiversità, e, di conseguenza, per l’intera società umana.

 

L’Alto Mare indica quelle parti dell’oceano che non sottostanno a nessuna giurisdizione nazionale, le cosiddette acque internazionali. Secondo l’ultimo accordo globale per la tutela degli oceani, che risale al 1982, nell’Alto Mare vigono delle libertà per tutti gli Stati, persino quelli senza litorale: tra queste ci sono la libertà di navigazione, di sorvolo, di costruzione di isole artificiali, di pesca e di ricerca scientifica. In sostanza, quel trattato chiariva i diritti ma non i limiti delle attività umane.

Dato che l’Alto Mare occupa circa due terzi dell’Oceano, significa che fino a oggi la maggior parte delle acque non era in alcun modo tutelata. A farla da padrone solo la legge della giungla, dove chi primo arriva meglio alloggia, e dove ciò che viene sfruttato da alcuni Paesi non è più disponibile per gli altri. Ne fanno le spese non soltanto gli Stati meno ricchi e potenti, ma soprattutto le risorse naturali e la biodiversità, dato che gli oceani, da soli, rappresentano il 95% di tutta la biosfera.

Una delle aree più ambite è la zona di Clarion Clipperton, nell’Oceano Pacifico. Oltre a ospitare molte specie viventi, questi fondali sono ricchi di noduli metallici, formatisi in milioni di anni, di grande interesse industriale. L’estrazione mineraria in queste aree comporterebbe però lo sfruttamento di risorse non rinnovabili e l’interferenza con le frequenze utilizzate dai cetacei; per questo motivo, è opportuno che venga regolamentata proprio da un trattato internazionale.

Un trattato simile può anche aiutare a diminuire sia la temperatura degli oceani, che dagli anni ‘50 a oggi è aumentata senza tregua, sia la pesca intensiva. Alcune zone del Pianeta, infatti, sono state profondamente influenzate dall’attività umana: tra queste vi è lo stretto di Bering, tra USA e Russia, che nell’arco di soli 3-4 anni ha visto diminuire la propria popolazione di granchi del 90%, sia a causa dell’attività ittica, sia per l’aumento delle temperature del mare in zone come l’Alaska.

Tutelare il mare significa tutelare un ecosistema che produce metà dell’ossigeno che respiriamo e che assorbe un quarto di tutta la CO2 prodotta dalle attività antropiche. Con la firma del Trattato internazionale per la tutela dell’Alto Mare è stato raggiunto l’obiettivo 30´30: almeno il 30% delle acque dell’Alto Mare deve diventare area protetta entro il 2030. D’ora in poi esisteranno delle zone i cui ecosistemi marini saranno tutelati per la salvaguardia del Pianeta e anche dell’umanità.

 

Attività da proporre alla classe

Dopo aver discusso insieme all’insegnante su quali possono essere le sfide ambientali legate agli oceani, la classe, suddivisa in cinque gruppi, affronti i seguenti argomenti:

  • 1) degradazione degli habitat (es. desertificazione)

  • 2) inquinamento idrico (inclusi gli sversamenti di petrolio)

  • 3) minaccia ed estinzione delle specie marine

  • 4) riscaldamento globale e crisi climatica

  • 5) pesca intensiva.


Ogni gruppo prepari una presentazione da illustrare al resto della classe che includa tutti gli attori e le strategie coinvolte in tale tematica e identifichi almeno una legge che se ne occupi.