Perfluorurati: una medaglia a due facce, tra risorsa a pericolo

di Nicole Ticchi

Materie coinvolte: Chimica

Perfluorurati: una medaglia a due facce, tra risorsa a pericolo

L’impermeabile è stato e continua a essere un’icona di stile da ormai diversi decenni. Non solo per il suo taglio sartoriale, ma anche e soprattutto per la sua funzionalità: evitare di bagnarsi i vestiti quando piove. Negli anni questa proprietà, ovvero di non bagnarsi ed essere praticamente indifferente alla pioggia, è stata applicata a tantissimi tipi di capi di abbigliamento e accessori. Questo rappresenta un bel vantaggio, perché ha permesso a noi tutti di svolgere attività all’aperto anche quando le condizioni meteorologiche non sono tra le più favorevoli e ha dato una svolta importante nello svolgimento della normale vita quotidiana, a partire dalla mobilità. Oppure ha reso possibile trasportare materiali delicati e preziosi, come quelli elettronici, anche in presenza di acqua: basti pensare alle custodie per cellulari che ci permettono di fare foto ormai anche sott’acqua o alle sacche impermeabili usate quando si va in canoa. Ma li troviamo anche nelle pentole cosiddette "antiaderenti", con la funzione di evitare che il cibo si attacchi al fondo e alle pareti. Se ci fate caso, quando versate dell’acqua su queste superfici difficilmente viene trattenuta e si formano gocce ben concentrate in pochi punti, una dimostrazione molto chiara del concetto di idrofobia.

 

La chimica dei perfluorurati

Com'è possibile questo effetto? Grazie ai perfluorurati, molecole sintetizzate da ormai più di 50 anni e utilizzate in numerosi prodotti industriali e di consumo, sia come repellenti per macchie, acqua o grasso in tappeti e indumenti o in utensili da cucina come rivestimenti antiaderenti. Si tratta di sostanze organiche, quindi con uno scheletro a base di carbonio, in cui tutti gli idrogeni delle catene idrocarburiche sono sostituiti con atomi di fluoro. La presenza del fluoro è esattamente ciò che conferisce la proprietà idrofoba. Si crea infatti una patina impermeabile, visibile dal fatto che l’angolo di contatto tra acqua e materiale è molto elevato: meno il valore dell’angolo è elevato, più la goccia sarà sferica. A causa dell'alta elettronegatività dei fluoruri e della loro forte capacità di catturare elettroni, le fluttuazioni della distribuzione della carica nelle molecole sono piccole e lo è anche forza di dispersione. Dato che l'energia superficiale è direttamente proporzionale alla forza di dispersione, anch’essa sarà bassa. I materiali con un'energia superficiale maggiore rispetto ai liquidi come l'acqua tendono a bagnarsi, mentre quelli con le superfici caratterizzate da un 'energia superficiale inferiore a quella dell'acqua non si bagnano.
I legami fluoro-carbonio sono estremamente stabili, una proprietà che conferisce a queste sostanze un'altissima stabilità termica e chimica. Un bene? Dipende dal punto di vista. Proprio perché sono molto stabili, i perfluorurati sono persistenti e alcuni tipi fra essi si accumulano più facilmente nell'ambiente rimanendo inalterati per anni.

Dal punto di vista strutturale possono essere suddivisi in diversi gruppi a seconda della complessità e del peso molecolare: l'acido perfluoroottansolfonico [PFOS] e l'acido perfluoroottanoico [PFOA], spesso indicati come sostanze di riferimento per questa classe, sono quelli più noti e più studiati dal punto di vista tossicologico.
Vengono anche definiti forever chemicals, e lungi dall’essere questa una nota romantica, è uno dei lati più preoccupanti.
Gli effetti potenzialmente tossici di queste sostanze sono sotto stretta osservazione, anche a causa della loro continua rilevazione nell'ambiente e in varie matrici: nelle acque, negli animali selvatici, nel sangue umano e in campioni di latte materno, tutti effetti che sono giunti anche all'attenzione dei cittadini e delle cittadine. Da studi recentissimi pare che, ironia della sorte, addirittura le piogge siano contaminate, segno che si tratta di sostanze ubiquitarie nella biosfera.

 

La tossicità e lo scenario per ridurre l’esposizione

I perfluorurati vengono assorbiti velocemente dall’organismo e hanno una preferenza ad accumularsi negli organi e nei distretti più ricchi di lipidi, in particolare in fegato, reni e plasma sanguigno; ma si trovano anche legati alle proteine trasportatrici, come l’albumina. Essendo così stabili, difficilmente vengono trasformati ed eliminati in tempi veloci: questo significa che, a seconda della dose e del tipo di sostanza assunta, possono permanere anche fino a diversi giorni nell’organismo ed esercitare effetti tossici sugli organi in cui si trovano, tanto nell’uomo quanto negli animali.

Dato che gli effetti di queste sostanze sono noti ormai da tempo, l’Europa ha iniziato a prendere misure politiche sui gruppi più problematici come i composti PFAS (sostanze perfluoro alchiliche) già nel 2002, grazie a un gruppo di lavoro che ha permesso di esplorare e analizzare la loro presenza nei vari comparti della vita quotidiana, a partire dai cibi. Tuttavia, per diversi anni non sono stati imposti limiti precisi nei vari stati membri.
In Italia c’è una delle zone europee più interessate dall’inquinamento da parte di perfluorurati: in Veneto, infatti, a causa della elevata lavorazione industriale con queste sostanze, si è verificato un vero e proprio disastro ambientale che ha portato a un profondo inquinamento di acque e terreni, comprese le falde acquifere. Il fatto che anche la pioggia sia contaminata costituisce un problema sia in maniera diretta, per tutti quei contesti in cui rappresenta una delle poche (se non esclusiva) fonti di acqua potabile, sia indiretta, perché contribuisce ad alimentare il grado di inquinamento di terreni e corsi d’acqua, e di conseguenza piante e animali (sia selvatici che destinati all’alimentazione). Le azioni politiche possono, al momento, andare nella direzione di limitare i danni già fatti e/o prevenire quelli futuri. Nello specifico, possono regolamentare i limiti di emissione da parte degli impianti industriali ed esigere una strategia di lavorazione e pulizia interna che sia in grado di farli rispettare in maniera efficace.

 

Cambiare in meglio: le nuove soluzioni senza fluoro

Un altro filone importante che si sta sviluppando sempre più è quello relativo alla produzione di resine impermeabilizzanti senza fluoro.
Abbiamo visto che materiali con una bassa energia superficiale, hanno solitamente piccoli angoli di contatto, una condizione che contribuisce a renderli idrofobi. Pertanto, è possibile utilizzare anche materiali non fluorurati la cui energia superficiale è bassa per produrre una superficie superidrofobica. Anche la lavorazione del materiale influisce su questa proprietà: in forma di micro e nano particelle, infatti, il grado di idrofobicità di questi materiali aumenta.
Nell’antichità, e tuttora in alcune zone del mondo, si usava stendere strati di sostanze grasse sulle superfici da proteggere: grassi animali, oli e cere, infatti, essendo idrofobi, fungevano da impermeabilizzanti. Alcune strategie per sostituire i perfluorurati seguono oggi lo stesso principio, ricercando tipi di cere e grassi più sostenibili e utilizzabili su larga scala. Ma non è la sola possibilità.
Tra i materiali che possiedono proprietà idrofobe e che con un’opportuna lavorazione possono costituire un’ottima alternativa, troviamo:

  • il polidimetilsilossano (PDMS) è un materiale ben noto che ha una bassa energia superficiale, motivo per cui la superficie piatta del PDMS è approssimativamente idrofobica con un angolo di contatto con l'acqua di circa 100°~110°. Pertanto, questo materiale può essere utilizzato per superfici superidrofobiche;
  • il polietilene (PE), il polimero comunemente usato per produrre bottiglie d’acqua, ha una struttura simmetrica e nessun gruppo polare. Pertanto, il PE può essere utilizzato per fabbricare superfici superidrofobiche. Controllando finemente il suo processo di cristallizzazione si può realizzare una superficie altamente idrofobica;
  • il polistirene (PS) è un polimero con anelli benzenici, altamente apolare con bassa energia superficiale, un materiale adatto a produrre superfici superidrofobiche.

La ricerca sta producendo ottimi risultati in questo campo e sono sempre di più i brand di abbigliamento e accessori che producono in maniera più sostenibile evitando di utilizzare materiali a base di fluoro.

 

Attività per la classe

La storia dell’inquinamento ambientale da perfluorurati è molto complessa e le evidenze scientifiche a sostegno sono numerose. Proviamo a mettere ordine e a costruire una linea del tempo delle conoscenze e delle azioni politiche e a presentarla graficamente per condividerla con la classe.
Puoi partire da queste fonti: