Detective in camice bianco

di Stefania Franco
  • Materie coinvolte: Fisica e Biologia

Se Agatha Christie e Arthur Conan Doyle fossero vissuti ai giorni nostri forse Miss Marple sarebbe una biologa e Sherlock Holmes un chimico. Le indagini non possono più prescindere dalle scienze forensi, che si avvalgono del contributo di numerose discipline.

 

Whodonit?

Il termine inglese Whodonit viene dalla contrazione dell’espressione Who has done it? e indica il genere del romanzo giallo deduttivo, in cui la soluzione del crimine è affidata all’intuito dell’investigatore che, dopo aver raccolto tutti gli elementi a disposizione, li mette insieme e con una logica serrata riesce a risalire al colpevole. È questa la trama alla base dei romanzi di Arthur Conan Doyle e Agatha Christie. Ben diversa è la narrazione che ci restituiscono oggi non solo i romanzi, i film e le serie tv, ma anche la cronaca nera: il metodo deduttivo, per quanto importante nelle indagini, non può più prescindere dall’analisi scientifica.

 

Ogni contatto lascia una traccia

La nascita delle scienze forensi viene fatta risalire al 1910, quando il medico francese Edmond Locard creò il primo laboratorio di analisi scientifiche nella mansarda del dipartimento di Polizia di Lione. A Locard si deve anche l’enunciazione di un principio cardine delle scienze forensi: “Ogni contatto lascia una traccia ed è perciò impossibile che un criminale agisca senza lasciare segni della sua presenza”. A sua volta, il criminale porterà con sé i segni del suo passaggio, come tracce di sangue o di terra, peli o capelli, fibre di tessuto. Compito delle scienze forensi è individuare anche le più piccole tracce e analizzarle per arrivare a una ricostruzione plausibile della dinamica dei fatti e risalire al colpevole.

 

Un caso di cronaca nera nell’antica Roma

Come si risolvevano i delitti nell’antichità? Una testimonianza ci viene da un’orazione attribuita al giurista Quintilliano, chiamato a difendere un ragazzo cieco accusato dalla matrigna di aver ucciso il padre per ottenerne l’eredità. La scena del crimine presentava l’uomo morto nel suo letto trafitto con una spada: da lì una serie di impronte di sangue lungo i muri che conducevano verso la camera del ragazzo. Quintilliano basa la sua difesa unicamente su un ragionamento: le tracce di sangue si presentano ben distanziate tra loro, ma un cieco avrebbe piuttosto trascinato le mani lungo le pareti per ritrovare il percorso verso la sua camera; dunque, il ragazzo avrebbe dovuto lasciare strisce di sangue continue. Questo dimostrava che le impronte dovevano essere state impresse dalla matrigna per incastrare il ragazzo e impossessarsi dell’eredità del marito. Non sappiamo come si sia risolta la vicenda, fatto sta che all’epoca mancava una prova fondamentale: l’esame delle impronte digitali.

Impronte digitali

Il primo a comprendere che le impronte digitali sono uniche per ciascun individuo fu Johan Christophe Andreas Mayer, un anatomista tedesco vissuto nel XVIII secolo, ma bisognerà attendere un altro secolo prima che a qualcuno venga in mente che questo elemento possa essere usato per individuare il colpevole di un crimine. A suggerirlo per la prima volta nel 1877 fu Thomas Taylor, un microscopista che lavorava al Dipartimento dell’Agricoltura di Washington. L’idea era buona, ma mancavano un sistema di classificazione e un metodo comparativo per districarsi in quel ricco e intricato disegno che sono le nostre impronte digitali. A ciò provvedettero, negli ultimi decenni dell’Ottocento, Henry Faulds, un medico britannico di stanza in Giappone, e Francis Galton, il cugino di Charles Darwin meglio noto per le sue teorie sull’eugenetica. Il primo caso della storia risolto grazie all’ausilio delle impronte digitali risale al 1892, in Argentina: da allora questa metodologia si diffuse in tutto il mondo e i guanti entrarono a far parte del corredo di ogni “criminale che si rispetti”.
Ma perché le impronte digitali sono uniche? La loro formazione avviene in utero già a partire dalla decima settimana di gestazione, quando cominciano a modellarsi nello strato basale per poi fissarsi definitivamente con la crescita degli strati superiori del derma e dell’epidermide. Una volta formate non possono più essere modificate perché i segni che vediamo in superficie hanno origine nello strato più profondo della pelle. La loro conformazione è unica perché dipende dalla posizione del feto e dalla circolazione dei fluidi all’interno dell’utero e soltanto in minima parte da fattori genetici, sicché anche i gemelli omozigoti, che condividono il cento per cento del patrimonio genetico, presentano impronte digitali differenti.

 

Sangue sulla scena del delitto

Una delle prime cose di cui deve preoccuparsi un assassino è di cancellare le tracce di sangue che potrebbero ricondurlo al delitto. Ma se in passato questo problema poteva essere risolto con un po’ di acqua e sapone, oggi ci sono sostanze in grado di rilevare piccolissime tracce di sangue anche dopo lavaggi accurati. Una delle più note è il Luminol, una sostanza chemioluminescente, ovvero che si illumina in seguito a una reazione chimica che sfrutta come catalizzatore il ferro presente nell’emoglobina. Il Luminol fu scoperto nel 1937 dal chimico tedesco Walter Specht che unì dell’acido 3-nitroftalico con dell’acqua ossigenata e un sale basico. A contatto con il ferro, l’acqua ossigenata si scinde in acqua e ossigeno; l’acido 3-nitroftalico reagisce con gli ioni dell’idrogeno trasformandoli in dianoni; questi a loro volta reagiscono con l’ossigeno formando perossido che si decompone e produce l’acido 5-aminoftalico; nel fare ciò si liberano elettroni che rilasciano energia sotto forma di fotoni, da qui l’effetto luminescente. Il Luminol è altamente sensibile anche alle più piccole particelle, ma è poco specifico perché evidenzia anche altre sostanze come il rame e la candeggina. Per questo motivo accanto al Luminol si utilizza anche un’altra sostanza chiamata fluoresceina, un sale sodico che diventa fluorescente se illuminato con raggi ultravioletti. Un’altra sostanza molto utilizzata è la fenolftaleina che, a contatto con il ferro presente nell’emoglobina, si ossida e assume un colore rosa.

 

La prova regina: il DNA

Ricordate il principio di Locard? Ogni contatto lascia una traccia. La stragrande maggioranza delle tracce biologiche contiene DNA e il DNA identifica in maniera inequivocabile un individuo. Di fronte alla prova del DNA non c’è argomentazione che tenga. Le innovazioni che hanno rivoluzionato la genetica forense sono principalmente due. La prima è l’invenzione della PCR da parte di Kary Mullis nel 1983: la Polymerase Chain Reaction, ossia reazione a catena della polimerasi, è una tecnica di amplificazione del DNA. Prima dell’invenzione della PCR esistevano già altri metodi per analizzare il DNA, ma erano necessari mesi di lavoro su grandi quantità di materiale genetico in laboratori specializzati. Il DNA, infatti, è una piccola molecola costituita da 3 miliardi e mezzo di coppie di basi; dunque, è un po’ come avere tantissime lettere scritte su un minuscolo pezzo di carta. Mullis ha trovato il modo per amplificare una porzione del DNA facendone migliaia di copie: grazie alla PCR è possibile ottenere materiale genetico in abbondanza a partire da piccolissime quantità di DNA.
L’anno successivo all’invenzione della PCR, nel 1984, il genetista britannico Alec Jeffreys introdusse il metodo del fingerprinting genetico, che utilizza determinati marcatori per identificare un individuo confrontandoli con altri profili genetici per stabilire relazioni di parentela.

Addio irrisolti?

Ma quindi grazie alle scienze forensi non avremo più casi irrisolti? Le scienze forensi, come tutte le altre scienze, non sono infallibili. Inoltre, soprattutto in fase processuale, conta molto anche la metodologia con cui le prove sono state raccolte, repertate e analizzate. Un atto illecito in una di queste fasi può compromettere la validità della prova: per esempio se la prova è stata raccolta in un momento successivo, se il luogo del crimine non è stato opportunamente isolato o se l’analisi non ha seguito procedure standard. Di conseguenza chi si occupa di scienze forensi ha grandi responsabilità ed è tenuto a osservare rigidamente le procedure.

 

Attività per la classe

Guardate insieme i video proposti. Individuate all’interno dei video i principali argomenti trattati, dopodiché formate tanti gruppi quanti sono gli argomenti. Ciascun gruppo si occuperà di realizzare una presentazione sull’argomento assegnato.