LEGGE MERLIN (1958)

Contro la prostituzione

Lo scopo della legge Merlin (legge 20 febbraio 1958, n. 75), è quello di abolire la regolamentazione della prostituzione, difendere la libertà personale di chi si prostituisce e pervenire ad una più efficace lotta nei confronti di ogni forma di parassitismo. Da qui la chiara ed aperta dichiarazione di programma nel proprio titolo: "Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui".

In breve...

Nei primi articoli (1 e 2), si vieta l'esercizio delle case di prostituzione nel territorio dello Stato e si dispone la chiusura dei "locali di meretricio". La parte centrale apporta ampie e profonde modifiche al Codice Penale relativamente ai delitti di lenocinio, di sfruttamento di prostitute e di "tratta". È riformata inoltre la fattispecie dell'adescamento al libertinaggio (art.5). I rimanenti articoli (8-11) contengono disposizioni di carattere strettamente amministrativo: alcune prevedono la istituzione di patronati ed istituti di rieducazione che sono messi a disposizione sia delle meretrici, che uscite dalle "case", decidano di lasciare quel mestiere, sia di tutte le altre donne che desiderino tornare ad una vita più onesta; altre norme prevedono la costituzione di un corpo speciale di polizia femminile; infine, ci sono le disposizioni finali e transitorie (art.12-15).

Nel dettaglio...

Venendo a questo punto ad una analisi più dettagliata della normativa, è da osservare che la parte più significativa, sotto il profilo della lotta contro lo sfruttamento della prostituzione, è tutta contenuta negli articoli 3 e 4.

L'art. 3 è composto da otto disposizioni, per i quali casi particolari sono previste la reclusione da due a sei anni ed una multa. A grandi linee, queste disposizioni possono essere ordinate in tre diversi gruppi:

Ad un primo gruppo appartengono i casi incriminatori con i quali la legge intende colpire "l'organizzazione", cioè l'esercizio su larga scala della prostituzione, nel suo svolgersi attuale o nelle attività immediatamente precedenti all'istaurarsi dell' "organizzazione" (attività di "reclutamento" svolta individualmente o collettivamente).

Il punto n. 1 recita: è punito con la reclusione da 2 a 6 anni e con la multa da 500.000 lire a 20.000.000 di lire ... "chiunque abbia la proprietà o l'esercizio, sotto qualsiasi denominazione, di una casa di prostituzione, o comunque la controlli, la gestisca, l'amministri oppure partecipi alla proprietà, esercizio o direzione di essa". Il reato consiste nel predisporre un'attrezzatura domestico-alberghiera da destinare a congiungimenti carnali di terzi. Non è escluso il reato in caso di eventuale fraudolenta sublocazione dell'appartamento. Tale reato non concorre con quello di favoreggiamento, mentre concorre con quello di sfruttamento.

Il punto n. 2 integra la tutela penale del numero precedente, colpendo chiunque abbia la suddetta proprietàe "la conceda in locazione" per lo scopo menzionato. Per incorrere nel reato, quindi, è sufficiente essere a conoscenza della destinazione dell'immobile. Anche questo reato non concorre con quello di favoreggiamento, mentre concorre con quello di sfruttamento, quando il prezzodella locazione risulta esoso.

Il n. 7 punisce "l'attività svolta in associazioni o organizzazioni" nazionali o estere dedite al reclutamento o allo sfruttamento della prostituzione. Ed inoltre colpisce chi agevoli o favorisca gli scopi di tali associazioni.

Il n. 4 prevede due casi criminosi, il reclutamento di una persona "al fine di farle esercitare la prostituzione" e l'agevolazione di quest'ultima per lo scopo suddetto. Il concetto di "reclutamento" è piuttosto ampio, ma in questo caso si ritiene sufficiente che venga posta in essere un'opera di reperimento di persone che intendano prostituirsi, prospettando loro i guadagni realizzabili. Come possiamo osservare, l'appartenenza di tali numeri a questo primo gruppo è evidente: la ragione delle incriminazioni corrisponde univocamente alla principale tendenza ispiratrice della legge, cioè l'abolizione della regolamentazione della prostituzione. E nello specifico: l'abolizione di ogni tipo di "casa di prostituzione", che consenta l'esercizio del "mestiere" all'interno di un'organizzazione implicante necessariamente la soggezione della prostituta alle ferree regole della "impresa", con gli ineliminabili rischi per l'incolumità fisica e morale delle donne.

Al secondo gruppo appartengono i casi che possono ricondursi al concetto di "avviamento" alla prostituzione: vi rientrano il punto n. 4, (seconda parte), e il punto n. 5, (prima parte).

Per quanto riguarda il n. 4, la parte che qui interessa è quella in cui si colpisce l' "agevolazione" di una persona al fine di farle esercitare la prostituzione. L' "agevolazione" implica la ricerca, la persuasione e l'induzione di individui al fine di fargli esercitare l'attività di cui sopra. La distinzione fra "agevolazione" e "favoreggiamento" è stata oggetto di dibattito, che si è risolto in questo modo: nella figura delittuosa dell'agevolazione, a differenza del favoreggiamento, la persona agevolata o favorita non è ancora "corrotta".

Il n. 5 disciplina due figure criminose, l' "induzione" alla prostituzione e il compimento di atti di lenocinio. Innanzitutto l' "induzione" deve essere compiuta nei confronti di una donna di maggiore età, altrimenti è integrata la circostanza aggravante prevista dall'art. 4 (per cui "se il fatto è commesso ai danni di persona minore di anni 21" la pena è raddoppiata). Si ha "induzione alla prostituzione" quando viene messa in atto, seppure una sola volta, un'opera di persuasione, di sottile convincimento, concreta ed idonea, anche senza l'uso della violenza o minaccia, sia per iniziare l'attività prostitutiva, che per proseguirla. Il reato è previsto anche sotto forma di tentativo. Per quanto attiene alla differenza tra questo caso, il favoreggiamento e l'agevolazione, l'induzione richiede un'attività diretta alla psiche della vittima, mentre gli altri due reati constano invece in un'opera di materiale ausilio al fatto della prostituzione.

Al terzo gruppo appartengono una serie di disposizioni che prevedono delle condotte diverse fra loro, ma caratterizzate da una gravità "per certi aspetti" maggiore rispetto agli altri fatti previsti nello stesso articolo: il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione altrui ; la tolleranza abituale e il lenocinio come eventuali forme specifiche di favoreggiamento; la "tratta".

Il punto n. 3 incrimina "chiunque, essendo proprietario, gerente o preposto ad un albergo, casa mobiliata, pensione, spaccio di bevande, circolo, locale da ballo, o luogo di spettacolo, o loro annessi e dipendenze, o qualunque locale aperto al pubblico o utilizzato dal pubblico, vi tolleri abitualmente la presenza di una o più persone che all'interno del locale stesso, si danno alla prostituzione." Si tratta di colpire il fenomeno della "tolleranza abituale". La norma è talmente ampia da comprendere sia l'ipotesi di quei locali dove avviene la consumazione del rapporto sessuale, sia di qualsiasi altro luogo aperto al pubblico o dal pubblico utilizzato, il cui proprietario sia colpevolmente a conoscenza del fatto che nel locale avvenga abitualmente l'esercizio del meretricio. Il carattere dell'abitualità in questo caso è riferito al comportamento inerte dell'esercente, non alla frequentazione del locale da parte delle prostitute.

Come abbiamo visto, il n. 5 incrimina gli atti di lenocinio di maggiorenni compiuti "sia personalmente in luoghi pubblici o aperti al pubblico, sia per mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità". Il lenocinio è un'attività di "mediazione" compiuta da terzi, cioè da persone diverse da chi si prostituisce, diretta ad offrire prestazioni carnali altrui. Non è necessario lo scopo di lucro. Richiedendo la legge il luogo pubblico o aperto al pubblico, oppure il mezzo stampa o altro "media", non rientra nella fattispecie il caso di colui che fissi gli appuntamenti per mezzo del telefono, o procuri nuovi clienti alla prostituta, scegliendoli nella sua cerchia di conoscenze.

Il n. 6 disciplina il delitto di "tratta" punendo "chiunque induca una persona a recarsi nel territorio di un altro Stato o comunque in un luogo diverso da quello della sua abituale residenza, al fine di farvi esercitare la prostituzione, ovvero si intrometta per agevolarne la partenza".

Il n. 8, punisce "chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui". Il reato di favoreggiamento è visibile in tutti quei comportamenti idonei ad agevolare la prostituzione di una persona, quindi a renderla più facile o più comoda, comprendendovi perciò qualsiasi attività accessoria causalmente orientata all'esercizio di tale pratica. È tuttavia irrilevante il movente, cioè il fine di lucro o la volontà di servire l'altrui libidine; è sufficiente il solo dolo generico, ossia la consapevolezza di agevolarne in qualsiasi modo l'attività. Soggetto attivo del reato di sfruttamento, invece, può essere chiunque sia consapevole di trarre un indebito profitto da tale attività, non essendo rilevante il consenso della donna, è compresa anche l'ipotesi in cui il guadagno del meretricio debba essere consegnato a terzi. Quindi l'elemento che contraddistingue lo sfruttamento dal favoreggiamento è l'intento speculativo: nel favoreggiamento si richiede solo una generica attività agevolatrice, mentre nello sfruttamento è necessario il dolo specifico, cioè la coscienza e volontà di trarre un vantaggio economico dalla prostituzione.

L'art. 4 prevede, infine, un raddoppio di pena per il caso in cui i reati sopra citati siano commessi ai danni di persone, che per motivi diversi, siano prive di piena e consapevole libertà di scelta, in ciò manifestando un intento diverso rispetto al sistema precedente, e cioè quello di colpire il lenocinio in modo indiscriminato.

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