Angioini e aragonesi nell’Italia meridionale

Dopo la morte di Federico II (1250) si consumò l’ultima fase del dominio svevo in Italia. Contro i pericoli di una politica di accerchiamento dello Stato della Chiesa come quella condotta da Federico (il quale controllava l’Italia centro-settentrionale, in quanto imperatore, e l’Italia meridionale, in quanto erede della dinastia normanno-sveva), il papato si adoperò per favorire l’insediamento nel Regno di Sicilia di una dinastia che non avesse altri interessi nella penisola. Dopo diversi sondaggi nei confronti di principi francesi e inglesi, la scelta cadde su Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia Luigi IX. Dopo avere sconfitto Manfredi, figlio naturale di Federico II, e il giovane nipote di Federico II, Corradino, ultimo rappresentante della dinastia sveva (rispettivamente nel 1266 e nel 1268) con l’aiuto dei guelfi italiani, Carlo d’Angiò diede avvio al dominio angioino nel Regno di Sicilia.
Ma la fortissima pressione fiscale, i soprusi dei funzionari regi, l’inserimento a corte di un gran numero di cavalieri francesi a danno dei baroni locali, lo spostamento della capitale del Regno da Palermo a Napoli (da cui Carlo intendeva dirigere una politica mediterranea di grande respiro) provocarono in Sicilia una rivolta antiangioina (1282) che ebbe largo seguito popolare. A essa si unirono gli esuli ghibellini sotto la guida di Pietro III d’Aragona, genero di Manfredi, che rivendicava il possesso della Sicilia. Ne seguí una guerra ventennale (1282-1302), detta del Vespro (perché la rivolta da cui prese avvio scoppiò a Palermo all’ora della funzione religiosa del Vespro, nel tardo pomeriggio), che si concluse con la pace di Caltabellotta: la Sicilia venne assegnata a Federico d’Aragona (nipote di Pietro, deceduto nel frattempo), con l’impegno che alla sua morte fosse restituita agli angioini. Ma la restituzione non fu attuata e l’unità monarchica dell’Italia meridionale venne meno.
Alla metà del secolo XIV le lotte interne fra gli eredi angioini, soprattutto fra i rappresentanti dei tre rami in cui era divisa la casa d’Angiò, provocarono una grave crisi e un lungo periodo di conflitti fra i candidati alla successione sul trono di Napoli. Si sviluppò allora la fase terminale dello scontro fra angioini e aragonesi. Accanto a ciascuno dei contendenti si mobilitarono, in un complesso gioco di alleanze, altri Stati italiani, pronti a cogliere un’occasione favorevole di rafforzamento nella penisola. In campo combatterono anche due fra i maggiori condottieri del tempo: Muzio Attendolo Sforza per gli angioini, e Braccio da Montone per gli aragonesi. La vittoria finale di Alfonso d’Aragona (1442) su Renato d’Angiò sanciva la riunione delle regioni meridionali e della Sicilia sotto la dinastia aragonese.