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Primo Levi: Se questo è un uomo
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La testimonianza di Primo Levi: Se questo è un uomo (1958)


«Soccombere è la cosa più semplice: basta eseguire tutti gli ordini che si ricevono, non mangiare che la razione, attenersi alla disciplina del lavoro e del campo. L’esperienza ha dimostrato che solo eccezionalmente si può in questo modo durare più di tre mesi. Tutti i mussulmani che vanno in gas hanno la stessa storia, per meglio dire, non hanno storia; hanno seguito il pendio fino al fondo, naturalmente, come i ruscelli che vanno al mare. Entrati in campo, per loro essenziale incapacità, o per sventura, o per un qualsiasi banale incidente, sono stati sopraffatti prima di aver potuto adeguarsi; sono battuti sul tempo, non cominciano a imparare il tedesco e a discernere qualcosa nell’infernale groviglio di leggi e di divieti, che quando il loro corpo è già in sfacelo, e nulla li potrebbe più salvare dalla selezione o dalla morte per deperimento. La loro vita è breve ma il loro numero è sterminato. Sono loro, i Muselmanner, i sommersi, il nerbo del campo; loro, la massa anonima, continuamente rinnovata e sempre identica, dei non-uomini che marciano e faticano in silenzio, spenta in loro la scintilla divina, già troppo vuoti per soffrire veramente.

Si esita a chiamarli vivi: si esita a chiamar morte la loro morte, davanti a cui essi non temono perché sono troppo stanchi per comprenderla:

«Essi popolano la mia memoria della loro presenza senza volto, e se potessi racchiudere in una immagine tutto il male del nostro tempo, sceglierei questa immagine, che mi è familiare: un uomo scarno, dalla fronte china e dalle spalle curve, sul cui volto e nei cui occhi non si possa leggere traccia di pensiero».

In questa pagina, tratta da Se questo è un uomo (1958), Primo Levi descrive la situazione più diffusa nel lager, la condizione vissuta dai circa sei milioni di vittime dello sterminio degli ebrei posto in atto sistematicamente dal Terzo Reich.


Il dovere di non dimenticare

Nel corso degli anni l’impegno di Levi è sempre stato teso a impedire che si potesse dimenticare o falsificare la realtà atroce del lager, in nome di tutti coloro che avendola conosciuta e subita ne furono annientati:

« nell’odio nazista non c’è razionalità: è un odio che non è in noi, è fuori dell’uomo, è un frutto velenoso nato dal tronco funesto del fascismo, ma è fuori ed oltre il fascismo stesso. Non possiamo capirlo; ma possiamo e dobbiamo capire di dove nasce, e stare in guardia. Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre».

Se questo è un uomo è stato scritto da Primo Levi nel 1946, a pochi mesi di distanza dalla liberazione dal lager e dopo un avventuroso e drammatico rientro che lo stesso autore ha narrato ne La tregua (1963). Ogni luogo, ogni evento, ogni personaggio narrati sono stati presi direttamente dall’esperienza vissuta. Scopo dello scrittore è far sapere ciò che è accaduto nei campi di concentramento perché non si ripetano gli errori del passato, benché ricordare sia doloroso soprattutto per chi è stato protagonista di una storia tanto atroce.

L’impegno a ricordare e documentare deve tener conto di molte difficoltà, tra cui la stessa volontà di dimenticare di una parte dei sopravvissuti. Inoltre l’opera di mascheramento della verità riguardo al sistema dei lager e alla pianificazione dello sterminio degli ebrei era stata condotta puntigliosamente dai nazisti stessi, anche attraverso la scelta di eufemismi: “soluzione finale” era il termine usato per indicare il genocidio della razza ebraica. Molti, troppi, in Germania soprattutto, ma anche in Italia, finsero di non sapere o vollero non sapere.


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