Straniero

Definizione del concetto
In termini generali, si può definire straniero (in gr. xeînos) chiunque sia considerato estraneo a una comunità data, sia perché effettivamente esterno ad essa (è il caso, per esempio, dei diversificati àmbiti etnici che i Greci sintetizzeranno, dal tardo arcaismo in poi, nella nozione di barbaro), sia perché incluso entro una comunità ma privato dell’effettiva cittadinanza.

Nel mondo rappresentato da Omero, dominato da una struttura ‘a case separate’, nella quale tende a sfumarsi la differenza fra società e famiglia, l’ambiguità dello straniero (potenziale alleato, potenziale nemico) è spesso ridotta tramite i dispositivi d’inclusione obbedienti alle regole dell’ospitalità. Se elevato al rango di ospite (o se legato alla casa da un matrimonio) lo straniero cessa di essere tale, o meglio sviluppa le proprie potenzialità positive in un rapporto che trascende la misura del singolo oîkos e che detterà all’aristocrazia arcaica i suoi tipici valori di internazionalismo (l’appartenenza di classe risulta molto più importante dell’appartenenza etnica o territoriale). È soprattutto con la nascita della polis, e con l’allargamento della cittadinanza che questa spesso comporta, che l’inclusione dello straniero nella comunità diventa un problema giuridico e istituzionale di grande portata. Ciò quando il rapporto con lo straniero non sia immediatamente codificato in termini di alterità e incomunicabilità assoluta, come avviene tramite l'applicazione dell’antitesi Greci/Barbari.

Gli stranieri nella polis
Tra i residenti privi di autentica cittadinanza, gli stranieri costituiscono – accanto agli schiavi e, per molti aspetti, alle donne – la schiera più nutrita e ragguardevole. La città antica pose sin dall’origine il problema della loro (parziale) inclusione nelle proprie strutture: un problema cui la costringevano non solo le condizioni obiettive in cui la polis sorse (dimensioni ridotte, popolazione scarsa, frequenti rapporti di vicinato), ma anche i meccanismi stessi del suo sviluppo (necessità di mano d’opera, esigenze legate al commercio, indispensabile ricorso ad alleanze esterne per fini bellici o coloniali).

L’antico istituto dell’ospitalità venne spesso recuperato a livello di relazioni interstatali: nacque così la figura del pròsseno, una sorta di ‘garante’ dei diritti dello straniero nella polis di arrivo; per tutta la classicità, la prossenia fu una carica ambita e prestigiosa, che potrebbe paragonarsi – per oneri e onori – a quella di un ‘console’ (nell’accezione diplomatica moderna del termine). Tale istituto si affiancò alle permanenti relazioni di ospitalità privata, e fu a sua volta ben presto affiancato da altre procedure istituzionali: accordi fra città, contratti di assistenza legale per gli stranieri residenti, creazione di speciali tribunali per gli stranieri, sino al privilegio della ‘isopolitia’ (una sorta di doppia cittadinanza), concessa in casi particolari e previo accordo scritto fra le poleis.

Un caso assai particolare dovevano rappresentare anche i matrimoni fra stranieri, che costituivano un tipo di contratto del tutto normale in età arcaica (o almeno nel mondo di Omero), ma che richiesero alla polis un’apposita legislazione: sappiamo per esempio che Atene conobbe un forte giro di vite giuridico, su questo punto, alla metà del V secolo a.C. (con le leggi periclee del 451/450 poté godere della piena cittadinanza solo il figlio nato da padre e madre entrambi ateniesi).

Ma certo il problema principale era costituito dagli stranieri stabilmente residenti: ad Atene, i cosiddetti ‘metèci’ (in gr. métoikoi, «coabitanti»). Questi ultimi erano soprattutto artigiani (la legislazione attica impediva loro di acquistare terra e di divenire piccoli proprietari), ma anche lavoratori salariati di vario tipo (per esempio, rematori, indispensabili al funzionamento delle triremi che costituirono il nerbo dell’esercito ateniese e il segreto dei suoi successi in guerra), stimati professionisti (medici, artisti, avvocati, docenti di vario livello) e non di rado, soprattutto dal IV secolo a.C., soldati mercenari; quando non si trattava invece di esuli provenienti da città alleate.

La politica ateniese si mostrò sempre piuttosto aperta verso i meteci e non si conoscono misure restrittive applicate su larga scala (come invece accadde periodicamente a Sparta): la polis accoglieva gli stranieri e li lasciava abitare sul proprio territorio; dopo una breve permanenza, essi potevano aspirare al titolo di ‘meteci’, ciò che comportava l’iscrizione in un’apposita lista, il versamento di una tassa detta metóikion e la scelta di un cittadino ‘garante’ (il prostátes). Era loro impossibile godere dei diritti concessi ai cittadini (come l’acquisto di beni immobili), ma erano sottoposti ai doveri cui soggiacevano tutti gli Ateniesi, sotto il profilo fiscale o nel contributo alle attività belliche. Da questo punto di vista, pur negando agli stranieri il diritto di cittadinanza, la polis di Atene può giudicarsi un esempio di sostanziale apertura, certo del tutto funzionale alle proprie esigenze economiche.

[Federico Condello]