Polupragmosúne

Il termine polupragmosúne (sostantivo astratto in –súne derivato dall’aggettivo polús, «molto», e dalla radice del verbo prásso, «faccio, opero, compio»), denota uno stato di «molteplice occupazione» cui la lingua greca attribuisce praticamente da subito (il termine non si diffonde prima della fine del V secolo a.C.) una connotazione negativa: non tanto, dunque, «operosità», quanto «smania d’azione», «impegno zelante», «eccesso di attività», che si precisa talvolta in senso etico («intrigante», «impiccione», «curioso»: il lat. curiosus non è che un derivato di cura, «occupazione»), talaltra in senso nettamente politico (il poluprágmon è in questo caso colui che, con analoga derivazione dal verbo «fare», noi definiremmo «faccendiere»). Nella sua risonanza negativa, la polupragmosúne – cui si oppone, in molti contesti, l’hesuchía – contraddice a quei principi di moderazione e self-control che costituiscono altrettanti capisaldi della nozione antica di saggezza.

[Federico Condello]