Parmènide
(gr. Parmenídes, lat. Parmenides)

Notizie biografiche
Parmenide, considerato dai moderni il fondatore della scuola eleatica, nacque a Velia (in greco Elea), colonia focese situata sulla coste della Campania, in una data che si ricava dall’informazione contenuta nel dialogo di Platone a lui intitolato (il Parmenide), secondo il quale il filosofo avrebbe incontrato ad Atene, all’età di 65 anni, un Socrate ancora giovane e inesperto, che quindi non poteva avere che 20 anni o poco più: con verosimile approssimazione, si ipotizza che Parmenide sia nato intorno al 520-515 a.C. Ma tale data è stata spesso discussa, per la notoria libertà di Platone nel trattare cronologia e sincronismi, ma anche in relazione al problema assai spinoso del rapporto fra la filosofia parmenidea e quella di Eraclito, considerata (ma forse con uno schematismo non esente da difetti metodologici) il principale idolo polemico del pensatore eleate. È tradizione antica che Parmenide sia stato allievo del poeta-filosofo Senofane, ma i moderni hanno spesso dubitato del facile gusto con cui i biografi greci stabilivano linee di affiliazione, più o meno probabili, fra i grandi intellettuali del loro passato. Che sia stato impegnato nella vita pubblica di Velia è verosimile, benché non siano mancati eccessi esegetici da parte di chi ha voluto interpretare l’intera sua opera come un trattato finalizzato all’enunciazione di una teoria politica. Certo è che ancora nella prima età imperiale romana la città serbava memoria dell’illustre cittadino, come dimostra la documentazione epigrafica. Si ipotizza – ma il dato non è che approssimativo – che Parmenide sia morto poco dopo la metà del V secolo a.C.


Opere e linee di pensiero
Per l’espressione della sua poderosa e dirompente teoria filosofica, Parmenide scelse il medium tradizionale dell’esametro omerico (come fece anche, forse sulla sua scia, Empedocle): una decisione su cui i moderni si sono spesso interrogati, a fronte dell’ormai ampio sviluppo della trattatistica filosofico-scientifica in prosa, e che forse va messa in relazione con il carattere marcatamente sapienziale di una ricerca che vuol essere innanzitutto rivelazione, e che nel proemio assume le fattezze di un’autentica teofanìa (apparizione divina); qui Parmenide, guidato da divinità femminili dette Elìadi (figlie del Sole), giunge al cospetto di una dea innominata (i moderni hanno proposto numerose e variamente fondate identificazioni, fra cui spicca per verosimiglianza Persefone) che promette di palesargli la verità, ma anche di istruirlo sul conto delle apparenze transitorie e ingannevoli che governano la vita degli uomini. Quest’ultimo elemento ha rinforzato presso i moderni l’ipotesi, sostenuta da più di una testimonianza antica, che il poema parmenideo – di cui restano ca. 150 versi – risultasse bipartito: la prima sezione avrebbe esposto i principi dell’autentica dottrina metafisica parmenidea, mentre la seconda sezione avrebbe costituito una sorta di ‘dimostrazione per assurdo’ fondata sui principi della tradizionale ricerca naturalistica di stampo ionico, ovvero un insieme di proposte fisiche considerate alla stregua di mere ipotesi, cioè fondate su un incerto principio empirico, anziché sul rigoroso deduttivismo che sostiene la prima parte. Recentemente, l’ipotesi della bipartizione è stata contestata o comunque sfumata, al fine di far emergere la coerenza che parrebbe unificare sia la sezione metafisica e deduttiva, sia la sezione fisica e induttiva del poema parmenideo.

Di contro all’historíe («ricerca» condotta a partire dal piano empirico) disordinata e indisciplinata della speculazione precedente, si ritiene che Parmenide abbia inteso produrre una radicale reductio ad unum, proclamando – contro ogni apparenza fenomenica e ogni risultato sia della ricerca scientifica, sia dell’esperienza quotidiana – che l’unica realtà razionalmente ammissibile è l’Essere, concepito come estraneo a ogni mutamento spaziale o temporale; l’Essere è e non può non essere, il Non Essere non è e non può essere: questo è l’assunto apparentemente lapalissiano, ma enigmatico nella sua concisa evidenza, sul cui fondamento Parmenide (considerato da taluni il primo teorico del ‘principio di non contraddizione’) confuta ogni teoria che presupponga l’intervento del Non Essere, sta a dire anche del mutamento (inteso come passaggio dall’Essere al Non Essere, o viceversa) e quindi della stessa percezione e dell’esperienza sensibile, condannata in blocco come pura dóxa («opinione» o «apparenza», in contrasto con la semplice e inconfutabile verità dell’«Essere che è»).

Compiuto, immobile, immutabile, l’Essere parmenideo – concepito metaforicamente come una sfera perfetta – giocherà un’influenza fondamentale sulla filosofia di Platone e sulla sua teoria delle idee. Spesso condannato al confronto obbligato con Eraclito – contro il quale sarebbero stati scritti alcuni mordaci versi del poema parmenideo, secondo un’ipotesi fortunata ma non priva di oppositori – il filosofo di Velia è da sempre considerato uno dei giganti della filosofia occidentale. Il suo stile enigmatico (soprattutto dal punto di vista lessicale e sintattico), unito allo stato frammentario dei suoi testi, ha ispirato una ridda di ipotesi interpretative spesso assai diverse, che in tempi recenti si sono divise soprattutto fra un’esegesi in chiave logico-linguistica (l’Essere su cui Parmenide riflette è innanzitutto quello della copula verbale) e una più tradizionale esegesi in chiave ‘realistica’ (l’Essere di Parmenide è una realtà ontologica obiettiva). Ed è indice della straordinaria ricchezza del pensiero parmenideo il fatto che due filosofi novecenteschi così distanti, come Heidegger e Popper, abbiano potuto trovare entrambi numerosi motivi di confronto e di conferma nel pensiero dell’Eleate; il quale fra l’altro – è stato suggerito di recente – può essere considerato un diretto anticipatore di molte evoluzioni della dottrina fisica e cosmologica contemporanea.

[Federico Condello]