Papiro
(gr. búblos; lat. papyrus)

Pianta che cresce in Egitto dalla quale si ottiene – tramite opportuna lavorazione – il materiale che costituì il principale supporto scrittorio dal III millennio a.C. fino a epoca medioevale. Questo, in sintesi, il procedimento con cui si otteneva un foglio di papiro: dalla parte più bassa del fusto del papiro, dopo aver eliminato la corteccia, si ricavavano delle strisce che, una volta bagnate, venivano poi accostate le une alle altre, su una superficie dura, in maniera che le fibre verticali corressero parallelamente. A questo primo strato (schíza) se ne sovrapponeva un altro costituito da strisce disposte perpendicolarmente rispetto alle sottostanti. I due strati erano quindi compressi con appositi strumenti e in tal modo incollati (divergenze si riscontrano, tra le varie scuole, circa la necessità di aggiungere collanti o meno per favorire tale processo: secondo l’opinione più diffusa sarebbe sufficiente la naturale collosità delle fibre bagnate). Il foglio così ottenuto si lasciava asciugare, poi se ne levigava con la pietra pomice, o con un utensile d’avorio o con una conchiglia, la parte dove le fibre avevano andamento orizzontale, destinata a divenire la parte interna del rotolo papiraceo, la più chiara, liscia e levigata, che di norma era utilizzata per prima: essa si chiama recto, mentre quella in cui le fibre corrono verticalmente è denominata verso. Esistevano diverse qualità di papiro e diversi formati di fogli: la larghezza poteva essere compresa tra un minimo di 11 e un massimo di 24 cm circa; in altezza i valori oscillavano – in età romana – tra i 30 e 40 cm. Un rotolo può essere composto da un numero variabile di fogli a seconda del tipo di utilizzo: mediamente esso era lungo dai 2,2 ai 4,8 m e di norma non si superavano queste dimensioni per esigenze di maneggevolezza (si dà tuttavia il caso anche di un papiro faraonico di 42 m). Il testo veniva scritto su colonne (selídes), disposte perpendicolarmente alla lunghezza, a partire, nel caso di testi greci, dall’estremità sinistra del rotolo: l’amanuense man mano che scriveva e il lettore man mano che leggeva arrotolava con la sinistra la parte già usata e srotolava con la destra nuovo papiro. Erano dunque necessarie due mani per tenere aperto il rotolo e per riavvolgerlo dopo l’utilizzo. I fogli di papiro di un rotolo che doveva ospitare una scrittura (come quella greca) la cui direzione era orientata da sinistra verso destra, venivano incollati in modo che le giunture (kolléseis) creassero dei dislivelli degradanti verso destra, così da non ostacolare la scrittura. Il primo foglio del rotolo, in cui le fibre corrono verticalmente rispetto a quelle dei fogli che seguono, si chiama protókollon. Esso serviva forse da protezione dell’intero rotolo, che si chiama chártes (= rotolo [scritto e non] così come veniva commercializzato; il rotolo scritto, invece, era indicato con búblos, bublíon e con altri diminutivi, oppure con tómos; lat. volumen). Al rotolo poteva essere attaccato un cartellino di papiro, di pergamena o di pelle con il titolo dell’opera contenuta. Fin dal III sec. a.C. si scriveva con una penna di canna la cui estremità era appuntita e provvista di un piccolo intaglio. L’inchiostro era nero, prodotto da nerofumo, gomma ed acqua. Se ne utilizzava inoltre uno rosso specialmente per annotazioni di carattere militare. Dal IV sec. d.C. si adottò anche un inchiostro rosso-bruno, risultato però alquanto corrosivo per il papiro. Le parole, nel testo, non appaiono divise fra loro (scriptio continua); talora si manifesta la tendenza a separare gruppi di parole da parte di alcuni amanuensi, ma senza alcuna sistematicità: tale distinzione era demandata al lettore. Uno spazio bianco poteva indicare una pausa, dunque una nuova sezione. Per agevolare la lettura si adottavano rientri e sporgenze a inizio riga (lo spostamento del rigo verso il margine sinistro [ékthesis] serviva a indicare l’inizio di un nuovo brano, o parte del testo in commentari, oppure segnalava la presenza di forme metriche più lunghe inserite in versi brevi, l’inizio di nuove poesie; l’eísthesis, cioè lo spostamento del rigo verso il margine destro, invece, poteva indicare, in testi poetici, il passaggio da un metro all’altro). Il più antico papiro pervenuto è un papiro ieratico (P. Berl. inv. 11301) databile attorno al 2700 a.C., mentre il più antico papiro letterario greco conservato risale al IV sec. a.C.. Si tratta di un ampio frammento di un rotolo semicarbonizzato trovato nel 1962 a Derveni, presso Salonicco, in Macedonia, contenente un commentario filosofico alla teogonia orfica. Gli ultimi papiri greci risalgono al VII sec. d.C.: a partire dal 641 la dominazione araba sostituisce quella bizantina in Egitto e si assiste a una progressiva scomparsa della lingua e della cultura greca.

Le prime scoperte di papiri greco-latini avvennero a Ercolano tra il 1752 e il 1754; in precedenza erano noti alcuni frammenti tardi (VII-XI sec. d.C.) di contenuto religioso, documenti papali e imperiali di età medievale. Il primo papiro greco proveniente dall’Egitto pubblicato in Europa è quello acquistato nel 1778 presso Gizeh da un mercante italiano e donato al cardinale Stefano Borgia; studiato dal professore danese Niels I. Schow, fu pubblicato nel 1788 a Roma: in quest’anno si può porre l’inizio della papirologia. Noto con il nome di Charta Borgiana, è attualmente conservato nel Museo di Napoli: è un documento datato 192-193 d.C. e contenente una lista degli abitanti del villaggio di Ptolemais Hormou che dovevano prestare la loro opera nei lavori dei canali e delle dighe.

La spedizione napoleonica ridesta l’interesse per l’Egitto: a essa presero parte infatti numerosi studiosi, che alimentarono studi e ricerche (cfr. la decifrazione delle scritture egiziane a opera di Champollion nel 1822). In questo periodo comincia ad affluire in Europa una grande quantità di papiri, venduti dagli indigeni a diplomatici o mercanti stranieri a scopo di lucro; iniziano così a costituirsi le collezioni europee, dapprima private poi pubbliche. Appaiono quindi anche le prime pubblicazioni. Gli scavi sistematici, finanziati da istituzioni ed enti europei, ebbero però inizio solo dagli anni ’80 del XIX secolo. Furono gli inglesi a dare particolare impulso alla neonata disciplina papirologica, sia per l’impegno profuso nella ricerca, sia per l’importanza dei ritrovamenti, sia infine per l’organizzazione degli studi e delle edizioni. Da ricordare in particolare le missioni di W.M. Flinders Petrie, a partire dal 1883 e negli anni successivi, a Hawara, Gurob, Illahun, quelle di Bernard Grenfell e Arthur Hunt nel Fayum e a Ossirinco, seguite dall’importante attività editoriale di John P. Mahaffy, Frederic Kenyon (editore della Costituzione degli ateniesi di Aristotele, dei Mimiambi di Eronda e delle Odi di Bacchilide [1897]), Edgard Lobel (editore dei più importanti frammenti dei lirici greci), Eric G. Turner etc.

[Elena Esposito]