Ipponàtte
(gr. Hippônax; lat. >Hipponax)

Vita
Poeta giambico vissuto sullo scorcio del VI secolo a.C., natio di Èfeso (Asia Minore). Era probabilmente di origini aristocratiche: ne sembrano conferma il nome composto da ánax («signore»), unitamente al riferimento ai costosi e nobili híppoi; il fatto che il lessico di Suda precisi i nomi di entrambi i genitori; nonché il contrasto con i tiranni Atenàgora e Coma, che lo costrinse ad abbandonare la patria e a rifugiarsi a Clazòmene. Nota agli antichi era la contesa tra Ipponatte e gli scultori Bùpalo e Atènide di Chio che portò i due artisti, secondo la tradizione, al suicidio. Alle origini di tale lite, più che un ritratto caricaturale del poeta scolpito dai due, sembra plausibile porre la gelosia di mestiere oppure una rivalità amorosa o ancora un conflitto di natura politica. Gli antichi tramandano numerosi altri particolari biografici, i quali in realtà sembrano rispecchiare la natura della poesia ipponattea o sono magari da ricondursi a qualche espressione del poeta fraintesa dagli antichi esegeti: così Ipponatte sarebbe stato piccolo ed esile ma muscoloso (akrótonos), dal carattere bilioso, irascibile e violento, sboccato, una «vespa» che non avrebbe risparmiato genitori, figli e sarebbe morto abbandonato da tutti, in povertà. Tale cliché biografico finisce per condizionare la lettura di ogni verso del giambografo e per generare così altro biografismo: si arriva dunque a delineare la figura di un poeta delinquente, deforme, pieno di ulcere e geloni, che si aggira nei bassifondi, conducendo una vita misera.

Opera, lingua e metro
Di Ipponatte restano circa 150 frammenti in trimetri giambici scazonti («claudicanti»), detti anche coliambi («giambi zoppi»), trasmessi per tradizione indiretta o dai papiri. Rimangono però anche frammenti in sistemi epodici, tetrametri trocaici ed esametri. La lingua è lo ionico d’Asia, impreziosito da hapax, neologismi, prestiti lessicali di parlate non greche, forme gergali, glosse, espressioni desuete; diversi i registri stilistici utilizzati, con il risultato di una estrema ricercatezza formale.

Temi e stile
Considerato dagli antichi l’inventore del coliambo e della parodia, Ipponatte più di qualsiasi autore arcaico ha aperto la strada ai comici: gli espedienti più caratteristici infatti della commedia (il paradosso, l’iperbole, l’aprosdoketon, la detorsio oscena dei nomi propri, i composti etc.) trovano proprio nei suoi versi le prime attestazioni. Tra i temi trattati – con tono demistificatorio e aggressivo, proprio della poesia dello psógos, dell’invettiva giambica − compaiono la povertà, l’amore, la religione e la credenza negli dèi.

Fortuna
Il momento culminante della fortuna di Ipponatte, poeta dotto, scaltrito e raffinato, è da porsi proprio nell’epoca letterariamente più dotta: in età ellenistica. È evidente un interesse per la sua opera e la sua figura da parte di numerosi grammatici eruditi, poligrafi e naturalmente poeti. Tra questi ultimi sono degni di menzione Sòtade di Maronèa, Menippo di Gàdara e poi Apollonio Rodio, Asclepìade – i quali sembrano aver utilizzato il coliambo ipponatteo per schermaglie letterarie − nonché naturalmente Callimaco ed Eronda, che si richiamano esplicitamente a Ipponatte come loro modello e si contendono il vanto di potersene dichiarare legittimi continuatori. A ulteriore testimonianza del successo di Ipponatte in età ellenistica, sono da ricordare infine i vari epigrammi fittizi a lui dedicati da Teocrito, Leònida di Taranto, Alceo di Messene, Rintone di Taranto. Tra il I e il IV sec. d.C. l’opera di Ipponatte è stata sicuramente oggetto di studio; nulla è possibile dire circa la fortuna del giambografo nel periodo che va dal V al XI sec. Citazioni dirette ed echi sparsi attestano la sopravvivenza della poesia ipponattea almeno fino ai secc. XII-XIII. In epoca moderna l’interesse per il giambografo si risvegliò solo a partire dal primo Ottocento. Ma una nuova tappa per gli studi ipponattei si pone agli inizi del nuovo secolo con l’attribuzione al poeta di Èfeso, da parte di F. Blass, degli epodi di Strasburgo, assegnati precedentemente ad Archiloco, fatto che portò a studiare più approfonditamente la poesia di Ipponatte. I cliché biografici degli antichi, tuttavia stentano a cedere. Soprattutto quello che faceva di Ipponatte un disgraziato, un plebeo ribelle che castiga i vizi e i costumi viene ripreso, rielaborato e la produzione del nostro poeta viene definita opera di un nobile decaduto o di un poeta maledetto, beat e hungry. In realtà un esame attento dei testi mostra che Ipponatte, alieno da preoccupazioni moralistiche - e lungi dall’essere un mendicante, un poeta maledetto e tanto meno beat -, è artista aristocratico e raffinato e che i suoi versi, stilisticamente ricercati, contraddistinti da ironia e destinati a colpire l’ascesa della volgare borghesia commerciale dell’epoca, devono considerarsi espressione di una letteratura consapevolmente divertita, a sfondo comico-parodico.

[Elena Esposito]