Gloria

Il lessico della gloria
Due sono i termini greci che solitamente si fanno corrispondere all’italiano «gloria»: kléos e kûdos. Ma quest’ultimo, di uso prettamente omerico, indica originariamente una sorta di ‘forza magica’ concessa dagli dèi ai guerrieri, in modo da garantire loro la superiorità sull’avversario (Benveniste); per metonimia, esso finisce per designare anche la superiorità acquisita e manifestata nella buona riuscita di un’impresa. Il sostantivo kléos, invece, come corradicale del verbo kaléo («chiamo», «dico»), connota la «gloria» come fama (gr. phéme, dal verbo phemi «dico»: ma il termine è neutro – buona o cattiva fama – sia in gr. che in lat.) diffusa nel tempo e nello spazio, duratura e universale rinomanza (dal lat. nomen: ma anche il gr. ónoma, «nome», può essere sinonimo di «fama» e di «gloria»).

La gloria omerica
Un valore centrale in Omero, condiviso dai guerrieri sia greci che troiani e connesso a quella che gli antropologi chiamano shame culture («cultura della vergogna» [Benedict, Dodds]: fondata innanzitutto sull’importanza riconosciuta alla pubblica valutazione di un comportamento, piuttosto che a un sistema di valori interiorizzato e reso virtualmente autonomo dal giudizio sociale), è il kléos che segue al compimento di imprese eroiche, segno di una totale aderenza, da parte dell’individuo, al codice comportamentale che gli si addice per rango e per statuto.

I kléa andrôn sono così, per antonomasia, le imprese belliche, le gesta famose degli eroi. Tale kléos è spesso accompagnato dall’aggettivo áphthiton, «incorruttibile, immortale»: un’espressione di cui si sono rintracciati convincenti paralleli indoeuropei (indizio che l’ideologia della gloria appartiene al più lontano passato della cultura greca) e che alcuni studiosi intendono non solo come «fama imperitura» garantita presso i posteri dal proprio comportamento eroico, ma più precisamente come «gloria» o «fama» garantita dal canto e dalla celebrazione poetica degli aedi (e in séguito dei loro più diretti eredi, i lirici corali come Simonide, Bacchilide e Pindaro).

Evoluzioni dell’idea di gloria
Già a partire da Omero, il kléos non è più appannaggio esclusivo degli eroi e dei combattenti, ma anche degli aedi: coloro a cui spetterebbe il compito di diffondere e celebrare il kléos eroico, sono a loro volta oggetto di gloria e di rinomanza. Nel corso dell’età arcaica, il motivo della gloria imperitura garantito da imprese intellettuali e artistiche di particolare importanza si diffonde presso poeti di ogni genere, divenendo un autentico topos letterario. Non stupisce poi che la gloria bellica, rimanendo legata al suo sostrato aristocratico, si sia presto trasferita al successo conseguito in competizioni atletiche di ogni tipo, come spesso in Pindaro. Ma il principale titolo di gloria esibito dalle polis, ancora nella matura età classica, è innanzitutto la gloria derivante dalle imprese militari: il kléos, la fama, la rinomanza, rimarranno elementi costanti (non solo in Grecia, ma anche a Roma e oltre) nella celebrazione dei caduti e nel ricordo delle vittorie (una retorica particolarmente fertile ad Atene, dove essa si legava volentieri alla commemorazione propagandistica dei successi ottenuti contro i Barbari).

[Federico Condello]