Codice
(lat. codex da caudex «tronco, ceppo»)

La prima forma del libro nel senso moderno del termine appare con le tavolette cerate, forate, tenute unite da un gancio e usate per esercizi scolastici, componimenti letterari, conti, appunti: nel caso di due tavole il termine impiegato era díthuroi, díptucha, duplices; tríptucha, triplices per tre;, polúptucha, multiplices se si trattava di più tavole (dieci è il numero massimo a noi noto). Comunemente però si definisce codice l’insieme di più fogli ripiegati, cuciti insieme e rilegati, siano essi di papiro o di pergamena. Codici di papiro sono documentati a partire dal II sec. d.C. fino all’VIII. L’unità minima del codice era il quaternione (tetrádion, quaternio). Esso si otteneva o piegando un foglio varie volte, fino a ottenere otto fogli più piccoli, 16 facciate; oppure inserendo l’uno nell’altro due binioni (derivati da una duplice piegatura del foglio: la prima perpendicolarmente alla colonna vertebrale dell’animale – si parla ovviamente di pergamena –, la seconda lungo la verticale costituita dalla colonna vertebrale). Il formato del codice veniva spesso condizionato dall’argomento e dal tipo di utilizzo. Lo scriba prima di iniziare a vergare l’opera forava tutti i fogli insieme sui margini, con un punzone, in modo da avere una guida per la mise en page in tutto il manoscritto e mantenere così costante il rapporto fra testo e margini. Inoltre se utilizzava fogli di pergamena, tali punzonature gli servivano anche per rigare la pagina in senso orizzontale (ma esistono anche punzonature funzionali a guidare la piegatura dei fogli e la cucitura). Questa rigatura, apposta su una delle due facce dapprima con una punta secca, poi con una punta di piombo o d’argento, tracciava inoltre la via al calamo (la rigatura nei codici di papiro pare fosse molto rara). I fogli venivano prima scritti, poi cuciti, quindi rilegati. Le rilegature più antiche consistevano in tavolette lignee leggermente scavate e ricoperte di cuoio magari decorato a figure geometriche. Un codice papiraceo del VI-VII sec. (P. Bodmer XVII) mostra invece un involucro esterno costituito di cuoio rinforzato da cartoncino (ottenuto con vecchio papiro) e tela grezza. A causa delle piegature, in un codice pergamenaceo si alternavano facciate lato carne e lato pelo: poiché esse presentavano un colore differente, nella costruzione del fascicolo, per questioni estetiche, si faceva attenzione a che due pagine affiancate fossero dello stesso tipo (regola del ‘vis-à-vis’ o di Gregory, dallo studioso tedesco che ha descritto e giustificato per la prima volta nel 1885 tale pratica). In un codice papiraceo si alternavano invece facciate in cui le fibre correvano orizzontalmente e facciate in cui l’andamento delle fibre era verticale: la distinzione recto/verso invalsa per il rotolo papiraceo, dunque, nel caso del codice non vale più (cfr. papiro) e pertanto appare meno ambiguo sostituire al termine recto il segno , a verso quello . L’introduzione del codice risponde naturalmente a una esigenza di maggiore funzionalità: il rotolo di papiro infatti non era né pratico, né capiente, né tantomeno duraturo. Il codice, di contro, era più maneggevole, più facile da consultare (si leggeva senza bisogno di utilizzare due mani, restava aperto da solo), i riferimenti erano fatti in modo più semplice numerando le pagine e, inoltre, in un codice poteva essere copiato il contenuto di diversi rotoli (un rotolo, essendo scritto su un solo lato, conteneva al massimo due tragedie o tre libri di Omero, se brevi). Secondo alcuni studiosi (Roberts, Turner) l’avvento del codice è da riconnettere alla progressiva diffusione della letteratura cristiana. Il Vangelo circolava infatti su taccuini e questo determinò l’abitudine a servirsi del codice per le scritture cristiane in genere. Il codice era inizialmente, nel II sec. d.C., il libro della letteratura cristiana, popolare o anche tecnica, in ogni caso destinata alle classi subalterne e meno abbienti, mentre il rotolo continuava ad avere diffusione tra gli strati sociali culturalmente più elevati.

[Elena Esposito]