Apollonio Rodio
(gr. Apollónios Rhódios; lat. Apollonius Rhodius)

Vita
Nacque tra la fine del IV sec. e gli inizi del III a.C. in Egitto, secondo alcuni a Nàucrati, secondo altri ad Alessandria e si suppone sia morto attorno al 230 a.C. Il soprannome ‘Rodio’ deriva probabilmente dal soggiorno nell’isola di Rodi, dove − dopo l’insuccesso di pubblico seguito a una recitazione delle Argonautiche, l’unica opera conservatasi di Apollonio − il poeta si sarebbe ritirato per compierne una revisione, che gli avrebbe portato poi grande fama. In realtà il soggiorno a Rodi è da collegarsi forse non tanto alla composizione del suo poema, quanto agli sviluppi degli ultimi anni di vita e alla sua rimozione dalla carica di bibliotecario, affidata a Eratòstene; non si può nemmeno escludere tuttavia che la sua famiglia provenisse da Rodi. La tradizione vuole che sia stato discepolo di Callimaco, ma è probabile che si volesse con ciò indicare semplicemente la sua dipendenza artistica dal Cireneo; con costui egli però sarebbe poi entrato in conflitto per divergenze letterarie (in realtà i numerosi paralleli riscontrabili tra l’opera di Apollonio e i lavori di Callimaco parrebbero testimoniare il contrario; si poteva tuttavia alludere forse al fatto che di fronte al problema del genere epico e della sua inattualità il primo scelse di non praticarlo, Apollonio invece di rivitalizzarlo dall’interno, cfr. sotto). Apollonio succedette a Zenòdoto nella direzione della Biblioteca di Alessandria (carica che ricoprì probabilmente per oltre un ventennio: dal 260, anno della morte di Zenodoto, fino al 246) e, come epistátes della Biblioteca − secondo un’usanza consolidata − fu precettore di Tolemeo III Evèrgete.

Le Argonautiche
Poema epico in 4 libri, ci è tramandato da una cinquantina di papiri di epoca greco-romana, da più di 50 manoscritti di età medievale e rinascimentale, nonché da una cospicua tradizione indiretta. Il poema - che consta di complessivi 5835 esametri circa - narra la vicenda mitica della conquista del vello d’oro da parte di Giàsone e dei suoi compagni imbarcati sulla nave Argo. Nei libri I-II si racconta il lungo viaggio degli Argonauti da Pagase alla Colchide; nel III l’amore di Giasone e Medea, nel IV la conquista del vello d’oro e le avventure per rientrare in Tessaglia. Apollonio opera alcune variazioni rispetto al notissimo racconto mitico. Tra le più evidenti, l’attenuazione dell’immagine di una Medea sanguinaria, che infatti non sarà più responsabile né della morte di Apsirto – il quale verrà ucciso da Giasone – né di quella di Pèlia, decretata da Era, poiché il re aveva trascurato il suo culto.
Nelle Argonautiche è evidente l’adozione del canone della brevità proposto da Aristotele (Poet. 1459b 19) per un’epica nuova («bisogna poter vedere insieme il principio e la fine»). L’opera di Apollonio si può considerare dunque, a tutti gli effetti, un vero e proprio prodotto ellenistico. La ripresa del modello epico avviene tramite un raffinato sistema di variazioni, differenziazioni, allusioni complicato da continui riferimenti eruditi e dalla tipica associazione alessandrina di poesia e filologia, tale per cui Apollonio nel fare poesia interviene anche in determinate questioni esegetiche. A ciò si aggiunga che Apollonio – sempre secondo i dettami della poetica ellenistica – rinnova l’epos dal profondo, contaminandolo con altri modelli, in particolare quello tragico: la struttura del poema sembra riprendere, del resto, quella della tetralogia tragica, e la narrazione stessa procede per dialoghi, monologhi, con un’evoluzione interiore dei personaggi molto simile a quella che si incontra nel dramma. Accanto agli argomenti eroici tradizionali affiorano il tema amoroso e l’interesse per l’approfondimento psicologico, nonché per l’elemento geografico-etnografico, per le antichità, per l’aítion: elementi, questi ultimi, funzionali a storicizzare il mito e, di conseguenza, a meglio spiegare certe realtà storiche presenti. Altrettanto evidente è la demistificazione dell’eroe tradizionale, per cui Giasone, figura di indeciso, che consegue lo scopo della sua missione non certo per merito del suo coraggio, ma grazie all’amore di Medea, può considerarsi una sorta di anti-eroe o eroe ‘borghese’; parimenti gli dèi olimpici, che compaiono qualche volta nel poema, sembrano essere più che altro un elemento convenzionale, oggetto di compiacimento estetico anziché di fede, come nel passato eroico. Anche il tempo della narrazione è diverso: alla linearità del racconto epico, che seguiva le vicende della storia, si contrappone qui una notevole libertà. Il poeta, alleggerendo la dizione formulare, tagliando con opportune selezioni i materiali tradizionali o dilatando di contro − attraverso digressioni erudite o di tipo psicologico − certe scene, procede per accelerazioni e rallentamenti. A differenza infine dell’epica tradizionale, che non prevedeva l’intervento in prima persona dell’autore, nelle Argonautiche Apollonio si inserisce spesso per raccordare parti della storia, per commentare fatti ed episodi. Anche a livello stilistico Apollonio opera una sorta di aggiornamento della lingua tradizionale dell’epos – che costituisce ovviamente l’imprescindibile base linguistica per il suo poema – rinnovando la sintassi e il lessico, rompendone la rigida formularità legata alle origini orali dell’epica. Da poeta omerizzante, ma che evita lo stile formulare, frantuma nessi cristallizzati che ricorrevano in determinate sedi metriche e vi sostituisce variazioni che fanno sentire al lettore l’eco del modello omerico, e insieme notare la modificazione operata. Egli cerca il termine raro e prezioso, unisce parole omeriche che in Omero però non comparivano mai accostate, innesta vocaboli nuovi in versi rimodellati sugli esametri omerici, impiega con nuove accezioni semantiche termini antichi, non escludendo neologismi e prestiti dalla poesia contemporanea. In generale sentenze complesse, discorsi indiretti sintatticamente sofisticati rivelano le possibilità praticabili dal poeta di poesia epica scritta, non più orale.
Dal punto di vista metrico l’esametro di Apollonio mostra somiglianze con quello di Callimaco e Teocrito; il ritmo dattilico è predominante rispetto a Omero.
Le Argonautiche incontrarono particolare fortuna nel mondo latino (cfr. le opere di Varrone Atacino nel I sec. a.C. e di Valerio Flacco nel I sec. d.C., o i versi iniziali del carme 64 di Catullo) e incisero in maniera profonda sulla formazione dell’epos latino di età augustea. Il debito di Virgilio nei confronti di Apollonio pare evidente soprattutto nel IV libro dell’Eneide, dove la vicenda di Enea e Didone è modellata, sotto molti aspetti, su quella di Giasone e Medea.

Altre opere
Tra le opere di Apollonio pervenute in maniera frammentaria sono da ricordare il Kánobos, poemetto in coliambi che traeva nome forse dal pilota della nave di Menelao, ucciso nel delta del Nilo dal morso di un serpente e trasformato poi in stella (katasterismós): si trattava forse di un’opera di gusto eziologico, che intendeva raccontare leggende egiziane e la nascita di certi culti alessandrini; le ricerche antiquarie erudite nell’àmbito di leggende e tradizioni locali di varie città, che confluiscono nei poemetti in esametri sulle fondazioni (Ktíseis) di Cauno, Alessandria, Naucrati, Rodi, Cnido; forse altri componimenti poetici tra cui epigrammi (resta un epigramma di attacco a Callimaco, ascritto molto dubbiosamente ad Apollonio). Apollonio fu inoltre brillante filologo: si interessò di questioni omeriche (le sue obiezioni all’edizione che dei due poemi aveva fornito il suo predecessore, Zenodoto, sono raccolte nel volume Contro Zenodoto), di Esiodo, di Archiloco, di Antimaco: le fonti antiche citano alcune monografie a riguardo.
Nella sua raffinata ricercatezza, la produzione letteraria di Apollonio si rivolge naturalmente a un pubblico elitario, a una ristretta cerchia di dotti.


[Elena Esposito]