Anacreonte

(gr. Anakréon, lat. Anacreon)

Cenni biografici
Nato nell’isola ionica di Teo intorno al 580/570 a.C., dovette appartenere a una famiglia ragguardevole dell’aristocrazia locale, se è vera la notizia della sua partecipazione all’impresa coloniale che intorno al 545 a.C. – mentre le truppe persiane assalivano le città ioniche della costa – condusse alla fondazione di Abdera sulla costa tracia. Ma la fortuna di Anacreonte è legata innanzitutto alle piú fiorenti corti tiranniche del periodo: anticipando e annunciando la figura del professionista itinerante che sarà tipica di non pochi poeti fra VI e V secolo a.C. (per esempio Simonide, Bacchilide e Pindaro), Anacreonte visse e operò a lungo presso il tiranno Polícrate di Samo (cui rivolse, secondo la testimonianza di Strabone, numerosi omaggi poetici), fino alla morte di questi nel 522 a.C.; quindi si trasferí ad Atene, su richiesta dei figli di Pisistrato – che, secondo la tradizione, inviarono a Samo una nave a cinquanta remi per farlo prelevare – e qui fu parte del grande progetto di riforma culturale avviato in particolare dal pisistratide Ipparco; è incerto se alla morte di quest’ultimo (514 a.C.) il poeta si sia trattenuto ancora ad Atene, o se si sia spostato allora in Tessaglia, alla corte degli Aleuadi, cui rimandano due componimenti di discussa autenticità (gli epigrammi 198 e 199 Gentili). La tradizione vuole che egli sia morto in tardissima età, a 85 anni; ignoto è il luogo della morte.

Opere
Gli Alessandrini riunirono l’opera lirica di Anacreonte in almeno 5 libri, organizzati secondo le caratteristiche metriche dei suoi carmi: da una parte i testi propriamente lirici (i cosiddetti méle), dall’altra i testi in metro recitativo (giambi ed elegie). Di una produzione che doveva essere assai estesa per quantità e assai varia per forma, rimangono a noi ca. 200 frammenti, quasi tutti di tradizione indiretta (ancora esiguo l’apporto dei papiri), e per lo piú intonati a quelli che già per gli antichi erano i temi caratteristici del poeta: l’amore e il vino (è significativo che Seneca irrida come oziosa ma tipica questione erudita l’attenzione dei dotti a questi due presunti ‘vizi’ del poeta).
È però chiaro che gli argomenti prevalenti nei testi anacreontei – l’esaltazione dell’amore eterosessuale e omosessuale, con frequenti apostrofi ai fanciulli Cleobúlo, Megiste, Batillo; l’elogio del simposio, purché intonato a caratteri di compostezza tipicamente ellenici, di contro al bere immodico e chiassoso dei barbari – si comprendono innanzitutto a partire dall’orizzonte sociale e dal contesto pragmatico che furono tipici della sua attività di poeta: il simposio aristocratico, l’edonismo e il ‘bel vivere’ delle corti tiranniche; né vanno trascurati i riferimenti a realtà sociali e a tematiche di piú urgente attualità – la satira all’indirizzo dei ‘nuovi ricchi’ di estrazione non nobiliare; l’accorata preghiera per la salvezza della città di Magnesia, insidiata dai barbari – che danno l’idea di un produzione piú ricca e articolata.
Tuttavia i canti dedicati all’eros (descritto talvolta come forza impetuosa, talaltra con garbo ironico o con frequenti meditazioni sulla vecchiaia e sulla natura effimera dei piaceri) costituirono il motivo anacreonteo per eccellenza: non stupisce allora che si sia presto creata una vera e propria ‘maniera’, che a partire dal tardo ellenismo sino all’età bizantina diede origine alla moda delle cosiddette ‘Anacreontiche’: testi apocrifi, posti sotto il patrocinio ideale del poeta di Teo e composti in strofi liriche ritenute caratteristiche della sua produzione; ‘canzonette’ leggere e disimpegnate, con reiterati e spesso monotoni inviti a cogliere i piaceri del vino e dell’amore, allontanando mestizia e serietà eccessiva. Pubblicati per la prima volta nel 1554, tali testi godettero di un’immensa fortuna e furono oggetto di continue imitazioni dal XVI sino all’inizio del XIX secolo.

[Federico Condello]