Amore/Eros


Complessità del concetto
Posta sotto il controllo di divinità diverse e non di rado contraddittorie – da Afrodite ad Era, da Eros a Hímeros («Desiderio») e Póthos («Struggimento») – la realtà articolata dell’amore presso i Greci è stata oggetto, negli ultimi cinquant’anni, di ricerche ispirate innanzitutto alla psicoanalisi, alla sociologia, all’antropologia e al femminismo, che continuano a costituire uno dei più ricchi e controversi campi d’indagine dell’antichistica contemporanea.
Al di là dei molti dissensi e delle diverse prospettive che hanno animato gli studiosi, alcuni elementi possono essere considerati punti fermi:
1) la necessità di considerare l’amore, in tutti i suoi aspetti, quale àmbito in cui si gioca la definizione di un codice comportamentale che influenza la stessa divisione dei ruoli sessuali (maschio/femmina, eterosessuale/omosessuale) e la loro collocazione sociale e politica: in questo senso, l’amore appare più che mai – in Grecia come del resto altrove – quale prodotto di una costruzione storica e culturale;
2) la stretta connessione fra il tema dell’amore, in tutti i suoi aspetti, e la fondamentale caratterizzazione sessista e maschilista della società greca nell’assoluta maggioranza – se non nella totalità – delle sue manifestazioni storiche e geografiche (cfr. condizione femminile);
3) la grande cautela resa indispensabile dalla frammentarietà della documentazione in nostro possesso, non solo per la sostanziale esclusione, dalle nostre fonti, di voci femminili non mediate dal mondo maschile, ma anche per l’inevitabile differenza fra ‘teoria’ e ‘pratica’ dell’amore: cioè fra la sua codificazione in norme, paradigmi o storie esemplari, e la sua effettiva realtà quotidiana e privata, strutturalmente sottratta alla nostra conoscenza.

Evoluzioni dell’amore antico
È opinione assai diffusa che si possa operare una distinzione fra la concezione omerica dell’amore – per lo più intonata a una certa naturalezza, in buona parte spontanea e aproblematica – e la successiva concezione sviluppata dalla polis classica, e in particolare ad Atene, che vede un progressivo incremento dei meccanismi repressivi e normativi, volti a controllare e a disciplinare le manifestazioni dell’eros. Certo è che oggi nessuno può più sostenere l’idea che godette di una certa fortuna fra Otto e Novecento, e che opponeva in blocco l’amore pagano (libero, spontaneo e naturale) al moralismo e alla sessuofobia che avrebbe invece caratterizzato il cristianesimo.

Immagini e concezioni ricorrenti
Sin dalla grecità più arcaica, in ogni caso, la letteratura ha elaborato un sistema di metafore destinato a una lunghissima durata nell’immaginario occidentale: l’amore come ‘fuoco’, come ‘follia’, come ‘malattia’, come ‘rete’, ‘trappola’ o comunque dispositivo di ‘cattura’, e in generale come forma di sentimento dispotico, incontrollato e virtualmente pericoloso per il dominio di se stessi. È una concezione largamente diffusa presso i Greci, e poi presso i cristiani, quella che vede nella donna un soggetto particolarmente incline ai molteplici eccessi dell’amore (la sessualità incontrollata, la passionalità, il sentimentalismo); resterà per lo più limitata all’àmbito greco, invece, la sublimazione dell’amore omosessuale e in particolare pederotico – non a caso chiamato per antonomasia amor Graecus – spesso opposto per le sue caratteristiche di maggiore moralità e nobiltà all’amore eterosessuale: ricerche recenti, in ogni caso, dimostrano l’ampia diffusione in tutto il dominio indoeuropeo di pratiche pederotiche (relazioni omosessuali coinvolgenti giovani in età puberale o adolescenziale), caratterizzate da una forte valenza rituale e paideutica, né si può dimenticare, per converso, che sin dall’età classica i Greci espressero altresì atteggiamenti di forte condanna nei confronti dell’omosessualità: in particolare, benché appaia sconsigliabile ogni sorta di schematismo sociologico, è verosimile che l’omosessualità costituisse una pratica valorizzata (o uno status symbol) specialmente in seno all’aristocrazia, e diversamente giudicata – se non apertamente biasimata – in ceti più umili.
Gli aspetti che possono essere considerati più diffusi e costanti, nella concezione greca dell’amore, sono i seguenti:
1) una generale tendenza a considerare l’eros come una realtà ambivalente, positiva se posta sotto il controllo di precisi meccanismi rituali (a cominciare dal matrimonio), negativa se espressa in tutta la sua violenza; di qui il timore e il rispetto dovuti ad Afrodite – tà aphrodísia, «le cose di Afrodite», comprendevano ogni aspetto dell’amore – e la sua frequente connessione con l’apáte (l’«inganno») e la thélxis (l’«incantamento» o la «fascinazione»), ma anche con una forma di díke («giustizia») che, specialmente in àmbito aristocratico, codificò come regola la necessità di una corrispondenza paritaria e quasi fatale tra i sentimenti dell’amante e i sentimenti dell’amato: sicché sia tradimento che mancata corresponsione potevano apparire come autentiche colpe;
2) l’attribuzione a Eros (divinizzato) di un potere assoluto e incontenibile, che in ampia parte della produzione letteraria – specialmente lirica e tragica, dall’arcaismo sino alla grecità tarda – pare talvolta superiore allo stesso potere degli dèi: una concezione che sul piano teologico e cosmologico ispirò teorie che ne fecero il primo e il più originario fra le divinità (così, in parte, già Esiodo).

Il Simposio di Platone
Un’articolata riflessione filosofica sull’amore è offerta dal Simposio di Platone, che per molti aspetti, attraverso le voci dei diversi partecipanti al dialogo, si può considerare una summa delle concezioni via via elaborate dai Greci e consegnate alla riflessione teorica successiva: il giovane Fedro istruisce un’apologia dell’Amore come massimo dio, sprone alla virtù, alla lealtà, alla tenacia, e massima causa della felicità umana; Pausania, da parte sua, distingue fermamente l’Amore celeste, sublime e spirituale – rivolto piuttosto ai maschi che alle femmine, e piuttosto alle anime che ai corpi – dall’Amore terrestre, volgare e carnale; il medico Erissimaco traduce tale opposizione in termini di salute e di malattia, anticipando così la vasta riflessione che, specialmente in età imperiale, tenterà di elaborare un’autentica ‘teoria igienica’ dell’amore e dei suoi eccessi; il commediografo Aristofane, con il celebre mito degli androgini originari, successivamente divisi da Zeus in maniera tale che ciascuna delle due metà fosse destinata a una perpetua e inesausta ricerca dell’altra; l’elogio di Eros offerto dal tragediografo Agatone, invece, ne sottolinea l’ansia per la bellezza, l’indole giovanile e aggraziata, la spontanea inclinazione all’arte e alla poesia; da ultimo Socrate, riferendosi a un discorso udito dalla sacerdotessa Diotima, fa di Amore un figlio di Póros (l’«Espediente») e di Penìa (la «Povertà»), perpetuo alternarsi di vuoto e di pienezza, di insicurezza e di possesso, atto a stimolare l’individuo – per la sua essenziale natura di ‘demone’ intermediario – all’incessante ricerca della bellezza, della verità e del bene.

Conclusioni
È indispensabile osservare come la tradizione greca abbia elaborato prospettive eterogenee e complesse circa la natura dell’amore, che rendono impossibile – e spesso ideologicamente faziosa – l’elevazione a regola di una sola concezione: dall’esaltazione di un modello repressivo o contenitivo, al riconoscimento della natura liberatoria dell’eros; da una concezione spesso asettica e puramente utilitaristica del matrimonio, all’elaborazione di figure paradigmatiche di coniugi amorosi e devoti (Alcesti e Admeto, Òrfeo ed Euridice, ecc.); dall’elogio dell’amore omosessuale alla sua aspra condanna, con simmetrica e inversa valutazione dell’amore eterosessuale; dall’amore come vizio all’amore come virtù e fomento di virtù, con le rispettive sopravvalutazioni degli aspetti sessuali e/o spirituali dell’eros.

[Federico Condello]