La condizione femminile nell’antichità e nel Medioevo

A cura di Roberto Roveda

Il silenzio delle fonti

Non è facile ritrovare informazioni sulla condizione della donna nelle fonti antiche e medievali. I documenti e i testi in nostro possesso sono nella totalità dei casi scritti da uomini che ci raccontano vicende di uomini, in un’ottica prettamente maschile. Si comprende quindi come il racconto relativo all’universo femminile ci giunga limitato e distorto data la tipologia delle fonti in nostro possesso, fonti che inoltre si soffermavano soprattutto a descrivere i fatti riguardanti coloro che detenevano il potere: sovrani, militari, sacerdoti. Tra costoro raramente ritroviamo donne e quelle poche che ritroviamo rappresentano appunto delle evidenti eccezioni nel panorama generale.

 

Il ruolo della guerra nel predominio maschile

Negli ultimi anni, però, la ricerca archeologica e storica si è sforzata di fare luce sulla condizione femminile in secoli in cui il predominio maschile era praticamente incontrastato e le strutture sociali avevano un’impostazione prettamente patriarcale. Studiosi e studiose tendono oggi a considerare maggiormente egualitarie quelle società, civiltà o popolazioni in cui la casta militare aveva meno importanza. Salvo rare eccezioni – le mitiche amazzoni sono probabilmente un residuo di una antica tradizione bellica al femminile – l’arte della guerra era totalmente appannaggio dei maschi. Questo determinava un monopolio maschile della violenza e quindi del potere che da essa derivava.

 

Società egualitarie e matriarcali

Questo non significa che nei secoli più lontani da noi non siano esistite società maggiormente egualitarie oppure incentrate su strutture di tipo matriarcale. Secondo alcuni esperti esse erano abbastanza diffuse nel Paleolitico e nel Neolitico. In queste società ancestrali gli uomini erano spesso impegnati nelle attività di caccia e alle donne era affidata la cura della comunità. Esse garantivano un fondamentale apporto di cibo con le loro attività di raccolta di frutti spontanei, si occupavano dei figli e degli anziani, erano anche in grado di difendere le loro comunità da aggressioni di animali feroci oppure nemici. Questa posizione di rilievo delle donne crebbe probabilmente con l’introduzione dell’agricoltura, attività che secondo molti studiosi e studiose si deve principalmente all’iniziativa femminile.
Un retaggio di un sistema sociale ancora egualitario nei rapporti tra uomo e donna si ha ancora nelle prime grandi civiltà storiche, in Egitto e Mesopotamia. Dalle fonti egizie sappiamo come le donne godessero di molti privilegi e diritti tanto che si è parlato di quella egizia come di una società protofemminista. In Mesopotamia ruoli fondamentali come quello di scriba e sacerdote non erano preclusi alle donne.

 

Gli indoeuropei, popoli di guerrieri

Progressivamente però le cose cambiarono in corrispondenza di una maggiore divisione dei ruoli all’interno di società che diventavano sempre più organizzate e stratificate. Spesso i sovrani provenivano dalle gerarchie militari oppure detenevano il potere perché godevano dell’appoggio dell’esercito, organismo indispensabile alla sopravvivenza di ogni città o stato dell’antichità. Per le donne divenne sempre più difficile ottenere ruoli pubblici di rilievo a meno di non appartenere a famiglie molto importati oppure essere madri o consorti di sovrani. Queste dinamiche di discriminazione delle donne divennero ancora più comuni con l’affermarsi di quelle popolazioni che vengono definite indoeuropee. Si trattava di popoli nomadi in cui la casta dei guerrieri era dominante dato che assicurava ricchezza con le proprie attività di guerra e razzia.

 

Condannate a ruoli subalterni

Dagli indoeuropei discendono in tutto o in parte le civiltà dell’area mediterranea, come i Greci e i Romani, realtà storiche in cui il ruolo delle donne fu fortemente subalterno a quello degli uomini. Nell’antica Grecia le donne erano in pratica recluse nel gineceo e nell’antica Roma compiti femminili erano gestire la casa, allevare i figli ed essere garanti delle dignità familiare. È vero che le matrone delle famiglie più elevate, soprattutto in età imperiale, godettero di maggiori diritti e libertà impensati per le loro antenate. Si trattava però di privilegi limitati ad appartenenti a famiglie influenti e non determinavano un cambiamento degli assetti sociali generali, incentrati sul predominio economico e politico maschile. Le cose non cambiarono neppure in epoca alto-medievale dato che le società germaniche erano dominate dall’aristocrazia guerriera. Neppure l’affermazione del cristianesimo, religione basata su un messaggio di uguaglianza e fratellanza, determinò un mutamento stabile. È vero che le donne ebbero un ruolo inusitato e di preminenza nelle prime comunità cristiane. Svolsero, per esempio, il ruolo di diaconesse per cui preparavano le giovani al battesimo e potevano predicare in pubblico al pari dei diaconi maschi. Era però precluso loro il sacerdozio e non potevano neppure ambire alle cariche di vescovo. Col tempo quindi anche nelle gerarchie cristiane le donne furono relegate a ruoli subalterni e di gestione di opere di carità oppure di cura dei malati. Insomma, per tutta l’età antica e altomedievale il ruolo delle donne continuò a essere subordinato a quello dell’uomo e tale rimase ancora per molti secoli.