Energia dall’atomo: rischi e opportunità

di Stefania Franco

  • Obiettivo Primario: 7 – Energia pulita e accessibile
  • Materia: Fisica, Chimica, Biologia

Attualmente una persona su otto nel mondo non ha accesso alla corrente elettrica. Infatti,  tra gli obiettivi più ambiziosi dell’Agenda 2030 c’è l’accesso all’energia in maniera sostenibile per tutti gli abitanti della Terra. In questo quadro l’energia nucleare rappresenta una delle opportunità, ma è sicura per la salute e per l’ambiente?


 

Energia dall’atomo: rischi e opportunità

La produzione di energia implica un forte impatto sull’ambiente, soprattutto per quanto riguarda l’emissione di gas serra da parte delle centrali elettriche alimentate a gas o a carbone. Inoltre, l’attuale situazione geopolitica che si è creata con il conflitto russo-ucraino ha mostrato come la dipendenza dalle materie prime influenzi anche gli equilibri internazionali, oltre al prezzo dell’energia.
In questo quadro, le centrali nucleari potrebbero fornire una soluzione per produrre grandi quantità di energia senza emissioni di gas serra. L’energia nucleare presenta infatti diversi vantaggi, primo tra tutti quello di dipendere molto più dalla tecnologia che dalle materie prime. La tecnologia infatti è necessaria non solo per progettare gli impianti, ma anche per ottenere il combustibile (che non è una materia prima grezza ma è, a tutti gli effetti, un prodotto industriale). Sotto questo punto di vista il nucleare rappresenta un’opportunità per i Paesi tecnologicamente avanzati ma poveri di materie prime. L’energia nucleare, inoltre, non è un’alternativa alle rinnovabili, ma le affianca sopperendo ai limiti connessi alla disponibilità delle fonti (Sole, vento e acqua non sono costanti, ma il bisogno di energia lo è).
Come tutte le tecnologie, anche il nucleare non è esente da rischi e permane nei suoi confronti una diffidenza nell’opinione pubblica, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza per la salute e per l’ambiente oltre alle possibili applicazioni in campo bellico. Ed è proprio in contesto bellico che questa tecnologia si è sviluppata.

 

Storia

La scoperta della fissione nucleare avvenne alla vigilia della Seconda guerra mondiale (1938), ragion per cui il suo successivo sviluppo è stato promosso dallo sforzo bellico finalizzato alla produzione della bomba atomica. A questo scopo nel 1942 il governo degli Stati Uniti finanziò il Progetto Manhattan, che fu anche il primo programma di ricerca nell’ambito della cosiddetta big science. Rientrano sotto questa categoria tutti quei programmi di ricerca che sono supportati da ingenti finanziamenti, dalla collaborazione di molti scienziati e che coinvolgono anche il sistema industriale. Con il Progetto Manhattan, la scienza cessava di essere un impresa individuale o condotta da gruppi ristretti per diventare un’attività sistemica, basata sul coinvolgimento di diversi attori (non più solo gli scienziati e i tecnici ma anche la politica, le imprese e la società). Questi elementi, come vedremo, caratterizzano anche la ricerca e lo sviluppo del cosiddetto nucleare civile, ovvero le centrali nucleari per la produzione di energia elettrica.
L’energia nucleare si è manifestata per la prima volta al mondo mostrando tutta la sua potenza devastante nel 1945, con lo sgancio delle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Questo peccato originale è stato perpetuato con la corsa agli armamenti durante la Guerra fredda, anche se contemporaneamente cominciavano a svilupparsi anche programmi di ricerca per usi pacifici: nel 1953 il presidente degli Stati Uniti Dwight Eisenhower pronunciò davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite il discorso Atoms for peace, che diede il nome anche alla prima Conferenza mondiale sugli usi pacifici dell’energia atomica tenutasi due anni dopo a Ginevra. Intorno agli anni Sessanta il nucleare civile poteva già considerarsi una tecnologia matura, al punto che grandi società come la General Electric erano in grado di garantire la costruzione di centrali nucleari a tempi e costi prestabiliti.
La crisi petrolifera del 1973 spinse alcuni Paesi poveri di idrocarburi a sviluppare programmi di ricerca sull’energia nucleare e a costruire nuovi impianti (le centrali nucleari nel mondo triplicano nel decennio tra il 1970 e il 1980). Negli anni Settanta cominciano però anche a emergere le proteste: inizialmente le critiche si concentravano sul fatto che i programmi per lo sviluppo del nucleare civile avrebbero potuto essere utilizzati anche per scopi militari. Successivamente, gli incidenti alle centrali di Three Mile Island (USA, 1979) e soprattutto Chernobyl (URSS, 1986) hanno impresso un segno profondo nell’opinione pubblica generando dubbi sulla sicurezza dell’energia nucleare per la salute e per l’ambiente.

 

L’eredità di Chernobyl e Fukushima

Quello di Chernobyl è stato il più grave indicente nucleare, seguito da quello di Fukushima del 2011, le cui conseguenze sono state più contenute grazie anche a una migliore gestione dell’emergenza. L’eredità di Chernobyl è un fardello che graverà ancora per molte generazioni nelle aree contaminate, nel raggio di una trentina di chilometri intorno alla centrale. Tuttavia le conseguenze sulla salute umana non sono facilmente misurabili. Quello che è certo è che 28 persone sono morte per aver ricevuto forti dosi di radiazioni durante le operazioni di soccorso, mentre da un punto di vista epidemiologico è stato rilevato un aumento di tumori tiroidei infantili, guariti nel 98% dei casi. Non è invece stato riscontrato un significativo aumento di tumori nella popolazione esposta rispetto alla media attesa. Secondo il rapporto del Chernobyl forum le vittime direttamente attribuibili all’incidente sarebbero 65, mentre secondo le stime di Greenpeace le conseguenze coinvolgono milioni di persone che hanno subito un danno o svilupperanno in futuro una patologia correlata all’esposizione alle radiazioni. 

 

Che cos’è la radioattività e quali sono i suoi effetti biologici?

Perché una forbice così ampia tre le due stime? La ragione è dovuta al fatto che le conseguenze biologiche delle radiazioni devono essere distinti in due tipi. Gli effetti deterministici sono quelli che si verificano in seguito all’esposizione ad alti livelli di radioattività in un arco di tempo ristretto. Esistono poi gli effetti stocastici (ossia probabilistici) che dipendono dall’esposizione a dosi di radioattività non abbastanza alte da provocare la morte immediata. 
Di per sé, la radioattività non è per forza dannosa. La radioattività è il risultato del trasferimento di energia e della trasformazione della materia e poiché l’Universo è in continua trasformazione, la radioattività è letteralmente ovunque intorno a noi: viene dai raggi cosmici provenienti dallo spazio, si trova in diversi elementi radioattivi presenti sulla Terra, persino il corpo umano, il cibo e l’acqua sono in una certa misura radioattivi. Esiste dunque una radioattività di fondo a cui tutti siamo esposti che viene stimata in circa 2,4 millisievert all’anno, pur con significative variazioni a seconda del luogo (in alta montagna, per esempio, si registra una maggiore radioattività).

Gli effetti biologici dipendono dal tipo di radiazione, dall’organo colpito e dal rapporto tra dose e tempo di somministrazione. Una mammografia (0,5 millisievert), per esempio, non comporta alcun danno biologico. Un’esposizione a 6/10 sievert, invece, provoca la morte nel giro di poche settimane perché colpisce un numero di cellule molto alto e intacca il midollo spinale. A dosi ancora superiori il danno biologico è tale da causare la morte in poche ore.

 

Le centrali nucleari sono sicure?

Gli impianti nucleari generano prodotti radioattivi durante il loro funzionamento dovuti alla fissione del combustibile contenuto nel nocciolo del reattore, costituito da biossido di uranio. In condizioni normali, la popolazione che vive nei pressi di una centrale nucleare riceve tra 0,001 e 0,002 millisivert di radiazioni aggiuntive rispetto al fondo naturale, una dose dunque priva di effetti biologici rilevanti.
Lo scenario peggiore che si può verificare è quello di fusione del nocciolo (cosa che avviene a una temperatura di 2850 °C): in questo caso gli elementi radioattivi vengono dispersi nell’ambiente e possono provocare danni biologici. Le moderne centrali nucleari sono progettate per fare in modo che, anche in caso di incidente, il rilascio di radioattività sia trascurabile e la storia degli incidenti passati è servita ad alzare i livelli di sicurezza richiesti. Dopo l’incidente di Fukushima, per esempio, i sistemi di controllo devono essere in grado di funzionare anche in caso di interruzione dell’energia elettrica. A fare scuola sono stati anche gli attentati dell’11 settembre 2001, in seguito ai quali sono state previste barriere protettive costituite da una doppia muraglia in cemento armato, in grado di resistere anche a un impatto aereo.


 

Il problema delle scorie

Il materiale fissile che alimenta le centrali nucleari è costituito perlopiù da miscele di uranio 235 o plutonio ed è in grado di produrre energia per alcuni anni. Durante il processo di fissione il materiale fissile si trasforma a causa della scissione degli atomi, ma resta altamente radioattivo anche quando non è più sfruttabile per alimentare il reattore.
Perciò la gestione del materiale di scarto è uno dei problemi principali dell’energia nucleare. Le soluzioni possibili sono il ritrattamento, che consente di recuperare materiale fissile non ancora esaurito, e lo smaltimento. In questo secondo caso, il materiale di scarto viene compattato, inglobato all’interno di materiali schermanti (come il cemento) e posto all’interno di fusti sigillati che vengono collocati in depositi superficiali o sotterranei. Apparentemente la soluzione più semplice sembrerebbe quella di seppellire i rifiuti radioattivi perché anche il suolo e le rocce sono materiali schermanti, ma tutti i luoghi non sono adatti per ospitare un deposito sotterraneo. Lo dimostra il caso del deposito di Schacht Asse II in Germania, che si trova all’interno di un ex miniera di sale e che nel corso degli anni ha cominciato a subire infiltrazioni tali da provocare la contaminazione delle falde acquifere sottostanti. I depositi devono dunque avere particolari caratteristiche geologiche che ne garantiscano la stabilità.


 

La vita di un radionuclide

La vita dei radionuclidi si prolunga ancora per moltissimo tempo dopo il loro sfruttamento per la produzione di energia nucleare. Si parla di radionuclidi a vita breve quando il processo di decadimento dura trecento anni, mentre per quelli a vita lunga i tempi sono nell’ordine di millenni. Perciò, la loro gestione è un onere che si tramanda per molte generazioni: è fondamentale dunque che si mantenga una continuità nel trasferimento delle conoscenze con procedure standardizzate. Per esempio, uno dei problemi che si presentano nel deposito di Schacht Asse II è che la classificazione dei fusti è cambiata nel corso del tempo, per cui chi si trova a gestire oggi le scorie non sa esattamente che cosa sia contenuto al loro interno.
Le conseguenze del rilascio accidentale di radiazioni nell’ambiente sono ancora oggetto di indagine. Luogo privilegiato per lo studio sul campo è la cosiddetta zona di alienazione di Chernobyl. A più di trent’anni di distanza non è semplice fare un bilancio delle conseguenze ambientali perché se da un lato nel suolo e nelle acque si riscontrano ancora alti livelli di radioattività, dall’altro lo spopolamento umano ha favorito il proliferare della vegetazione e degli animali selvatici. Nonostante alcune persone abbiano deciso di tornare a vivere nella zona di alienazione, tale scelta non può essere considerata auspicabile per la popolazione perché espone a livelli di radiazioni superiori a quelli considerati sicuri. Tra le conseguenze da tenere in conto in caso di disastro nucleare c’è dunque la perdita di territori che diventerebbero inabitabili per secoli se non per millenni. 

 

Quali rischi possiamo ragionevolmente assumere?

La sicurezza non dipende soltanto da criteri di progetto ma anche dal fattore umano e da elementi che sfuggono al nostro controllo o alla nostra capacità di previsione: per esempio, una centrale nucleare potrebbe essere colpita da un meteorite. La sicurezza al 100% non è un obiettivo raggiungibile, ma è possibile fare una stima dei rischi, ovvero delle probabilità che si verifichino effettivamente dei danni. Da un punto di vista probabilistico, il nucleare è una tecnologia di gran lunga più sicura rispetto ad altre: gli aerei, e ancor più le automobili, hanno una probabilità di incidente molto più alta, eppure la maggior parte di noi continua a utilizzarli come mezzo di trasporto. Ciò che fa la differenza nel caso degli impianti nucleari sono le ricadute a livello collettivo di un potenziale incidente ed è per questo che il livello di accettazione di questa tecnologia da parte del pubblico non può essere ignorato.
La valutazione del rischio è soggetta a fattori psicologici soggettivi: un fumatore, per esempio, accetta un rischio di contrarre il cancro venti volte superiore a un non fumatore. Eppure potrebbe non essere disposto ad accettare un rischio molto minore dovuto al rilascio di radioattività. Al di là di questi fattori soggettivi, spesso si trascura che l’attuale sistema energetico, basato sulla produzione da fonti fossili, sta già provocando conseguenze collettive e a lungo termine con conseguenze sul clima che sono già sotto i nostri occhi e che potrebbero peggiorare le condizioni di vita delle future generazioni.
Malgrado i rischi e le criticità legate al nucleare (tra cui il problema delle scorie), è ragionevole pensare che nel prossimo futuro questa tecnologia non potrà essere abbandonata: non solo dobbiamo continuare a produrre energia, ma dobbiamo produrne ancora di più se pensiamo che tutti gli esseri umani abbiano lo stesso diritto di farne uso.


 

Attività per la classe

Qual è la vostra posizione rispetto all’energia nucleare? Svolgete un dibattito in classe. Al termine del dibattito esprimete un voto a favore o contro.