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Il contesto filosofico
Naturalismo e contrattualismo
Il termine “sociologia” è stato usato per la prima vol-
ta dal filosofo francese
Auguste Comte
(1798-1857) nel suo
Corso di filosofia positi-
va
(1839), ma già da due secoli alcuni filosofi si erano posti quello che abbiamo visto
essere il problema caratterizzante della ricerca sociologica: come è possibile che molti
individui si assoggettino alle norme necessarie per vivere in società?
Fu durante il Seicento che questa domanda si fece per la prima volta insistente. Per mol-
ti secoli era stata dominante una concezione che potremmo definire “
naturalistica”
,
di matrice aristotelica, secondo la quale la
società umana
sarebbe un
fatto del tutto
naturale scaturito dalla socievolezza istintiva dell’uomo
. I filosofi del XVII seco-
lo cominciarono invece a vedere con chiarezza che l’uomo, per quanto istintivamente
socievole, è tuttavia per natura restio a subordinare sé e i propri interessi alle esigenze
di una collettività di altri uomini. Emerse anche il problema fondamentale della com-
patibilità tra individui e norme.
Per trovare una soluzione a questo nuovo problema, i filosofi di allora formularono la
teoria del
contratto sociale
. Tra gli esseri umani vi sarebbe una sorta di
tacito accor-
do
, un patto non scritto che essi avrebbero implicitamente
stipulato per fissare delle
regole di convivenza certe e condivise
, a cui tutti debbono sottostare. Solo un simi-
le “contratto” renderebbe possibile la convivenza tra gli individui, poiché essi si senti-
rebbero vincolati nei loro comportamenti.
All’origine di questa teoria stava l’idea che, a ben vedere, l’essere umano non vive da
sempre in società, e che quindi non è affatto un animale sociale fin dalla nascita, istin-
tivamente portato alla convivenza con gli altri. Al contrario, per i sostenitori di questa
teoria, detti “
contrattualisti
”, l’uomo viveva originariamente in uno “
stato di natu-
ra
” libero e disordinato, in cui ognuno conduceva la propria esistenza singolarmente
e preoccupandosi soltanto di soddisfare i propri bisogni.
Questo stato di vita naturale e solitaria comportava tuttavia grandissimi disagi e diffi-
coltà per la sopravvivenza di ciascuno. Tutti erano esposti infatti non solo alle minac-
ce provenienti dagli eventi naturali e dagli animali selvatici, ma anche a quelle prove-
nienti dagli altri uomini, i quali, come sosteneva Thomas Hobbes, rappresentavano gli
uni per gli altri un pericolo:
homo homini lupus
, diceva Hobbes, cioè “l’uomo è lupo
per gli altri uomini”. Le difficoltà e le incertezze dello stato di natura, legate al carat-
tere marcatamente individuale e utilitaristico dell’essere umano, sarebbero state dun-
que la molla che spinse gli uomini ad abbandonare l’originaria condizione conflittuale
e ad associarsi tra loro, dando vita in tal modo a una società stabile.
Montesquieu e “Lo spirito delle leggi”
Teorie di questo tipo sono state sostenute in
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Le origini della sociologia
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