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 La mobilità nella società globale come fattore di stratificazione
di Zygmunt Bauman
L’autore
Zygmunt Bauman (1925) è
un sociologo e filosofo polacco. È stato
professore presso le università di Leeds
e Varsavia. Durante il periodo trascorso
nella città inglese, si è occupato princi­
palmente del rapporto tra modernità e
olocausto. Successivamente ha rivolto la
sua attenzione verso i problemi riguar­
danti i processi di globalizzazione.
L’opera
Nel saggio
Dentro la globalizza-
zione
.
Le conseguenze sulle persone
(1998)
Bauman analizza il fenomeno della glo­
balizzazione, allo scopo di individuarne
le origini e gli effetti sulla società.
Il brano
Secondo il sociologo, l’enfasi con
cui viene esaltata la grande opportunità
che ci si offre oggi di abbattere i vincoli
spaziali rischia di porre in secondo piano
notevoli elementi di contraddizione. La
condizione del moderno viaggiatore co­
smopolita non può infatti essere per nulla
equiparata a quella di un profugo. Ciò che
apparentemente può sembrare un fat­
tore di uguaglianza, ovvero la mobilità,
costituisce al contrario un nuovo criterio
di discriminazione o, quantomeno, un
criterio di stratificazione.
La stratificazione
della società
moderna
Come tutte le società che conoscia-
mo, anche la società postmoderna
dei consumi è stratificata. Ma è pos-
sibile distinguere un tipo di società
dalle altre guardando ai criteri in base a cui esse stratifica-
no i propri membri. Il criterio che definisce chi sta “in
alto” e chi sta “in basso” in una società di consumatori è
il loro
grado di mobilità
, la libertà di scegliere dove stare.
[...]
Chi sta “in alto” ha il piacere di viaggiare tutta la vita
come desidera e di scegliere le proprie destinazioni in
base alle soddisfazioni che offrono. A chi sta “in basso”
succede in ogni momento di essere buttato fuori dal luo-
go in cui gli piacerebbe stare (nel 1975 furono due milio-
ni gli emigranti forzati, cioè i rifugiati, assistiti dall’Alta
commissione istituita dalle Nazioni Unite a quel fine
1
;
nel 1995 erano saliti a ventisette milioni).
Se non si muove, spesso è la terra a essergli strappata da
sotto i piedi
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– la sensazione è comunque di essere in
movimento. Se si mette per strada, nella maggior parte
dei casi la destinazione è scelta da altri; di rado è amena,
e comunque non viene scelta per la sua amenità. Ma-
gari occupa invece un luogo molto poco attraente che
abbandonerebbe volentieri, ma non ha dove altro andare,
perché difficilmente sarebbe benvenuto da qualche altra
parte e autorizzato a piantarvi le tende. [...]
Due differenti
forme di
nomadismo
Ora tutti possono essere nomadi, nei
fatti o perché si sentono tali. Ma c’è
un abisso incolmabile tra le esperien-
ze che si avranno presumibilmente al
vertice e quelle alla base della scala della libertà. Il termi-
ne di moda
nomade
, se applicato indiscriminatamente a
tutti quelli che vivono nell’era postmoderna, è gravemen-
te fuorviante: nasconde infatti le enormi differenze che
separano i due tipi di esperienza e che rendono ogni so-
miglianza tra di essi apparente e superficiale.
Di fatto i mondi che sono sedimentati ai due poli, al ver-
tice e al fondo della emergente gerarchia della mobilità,
differiscono nettamente, e tra di essi scende poco alla vol-
ta l’incomunicabilità.
Spazio e tempo
Per il primo mondo, il mondo di chi
è mobile su scala globale, lo spazio ha
perduto il suo carattere vincolante ed è facile da attraver-
sare sia nella sua versione
reale
sia in quella
virtuale
3
. Per
il secondo mondo, il mondo di coloro che sono legati a
un luogo, coloro cui è vietato muoversi, che sono costret-
ti perciò a sopportare in modo passivo qualsiasi cambia-
mento che possa accadere al luogo cui sono legati, lo spa-
zio reale si va rapidamente restringendo. Si tratta di una
privazione resa ancor più dolorosa dall’ostentazione con
la quale i media mettono in mostra la conquista dello
spazio e l’
accessibilità virtuale
di distanze che nella realtà
non virtuale restano ostinatamente irraggiungibili.
Il contrarsi dello spazio abolisce il fluire del tempo
4
. Gli
abitanti del primo mondo vivono in un perpetuo presen-
te, attraversando una sequenza di episodi che un cordone
sanitario isola dal loro passato e dal loro futuro. Questa
gente è costantemente occupata e “non ha” mai tempo,
dato che ogni istante è privo di estensione – un’esperien-
za uguale a quella di avere il tempo “pieno fino all’orlo”.
La gente condannata a vivere nel mondo opposto è
schiacciata dal peso di un tempo che non passa mai, ri-
dondante e inutile, che non sa come riempire. Nel loro
tempo “non succede mai nulla”. Essi non “controllano” il
tempo – né ne sono controllati, a differenza dei loro avi
che timbravano il cartellino, assoggettati al ritmo anoni-
mo della fabbrica. Essi possono solo ammazzare il tempo,
e ne sono lentamente uccisi
5
.
I residenti del primo mondo vivono nel tempo; lo spazio
non conta per loro, dato che attraversano qualsiasi di-
stanza istantaneamente. I residenti del secondo mondo,
invece, vivono nello “spazio”: pesante, gommoso, intoc-
cabile, che lega il tempo e lo mantiene al di fuori del loro
controllo. Il loro tempo è vuoto; nel loro tempo “non
succede mai nulla”.
Solo il tempo virtuale, quello televisivo, ha una struttura,
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