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Storia e storie della fisica
LE RELAZIONI TRA FORZA E MOVIMENTO
UNITÀ 7
N
el 1687, Isaac Newton pubblicò a Londra un’opera in latino, che viene considerata una delle opere fon-
damentali e più influenti del pensiero scientifico di tutti tempi.
Ai quei tempi, la Fisica era chiamata “Filosofia naturale” e nell’opera di Newton vengono enunciati i
principi matematici che ne sono il fondamento. Per questo il titolo dell’opera è
Philoso-
phiae Naturalis Principia Mathematica
(“Principi matematici della filosofia naturale”),
ma ci si riferisce sempre a essa con il termine abbreviato di
Principia
(nella
[
A
]
, la
copia dei
Principia
appartenuta a Newton).
Le tre leggi di Newton
In realtà, i
Principia
non si occupano di tutta la Fisica, ma solo della teoria che mette
in relazione il moto dei corpi con le cause che lo producono. In particolare, vengono
enunciate le leggi note oggi come le “leggi di Newton” o “principi della dinamica”.
I principio (legge di inerzia)
: ogni corpo non soggetto a forze persevera nel suo
stato di quiete o di moto uniforme e rettilineo.
II principio (legge fondamentale della dinamica)
: il mutamento del moto è
proporzionale alla forza motrice impressa, e segue la retta secondo cui tale forza
è stata impressa.
III principio (legge di azione e reazione)
: l’azione è sempre uguale e contraria
alla reazione; le mutue azioni di due corpi, cioè, sono sempre uguali e dirette in
senso opposto.
Newton amava dire che si sentiva come “un nano sulle spalle di giganti”, riferendosi
agli scienziati che lo avevano preceduto, verso i quali si sentiva debitore per i risultati che aveva ottenuto grazie
alle loro scoperte e alle loro invenzioni. E proprio le sue realizzazioni gli avevano permesso di guardare un po’
più lontano di loro.
In effetti, Newton ha avuto il merito di riunire queste tre leggi in un’unica teoria matematica, ma altri, prima di
lui, le avevano già intuite ed enunciate nelle loro opere.
Nel Medioevo, il filosofo francese Jean Buridan (italianizzato in Giovanni Buridano, 1290 ca.-1358) aveva trattato
questi stessi argomenti con un approccio molto moderno. Affrontando lo studio del moto di una freccia lanciata
in aria, si era chiesto se, dopo aver abbandonato l’arco, la freccia fosse mantenuta in movimento dall’aria o
invece da qualcos’altro.
Buridano respingeva la teoria aristotelica secondo la quale è l’aria a muovere un corpo, e proponeva la teoria
dell’
impetus
. Secondo quest’ultima, un corpo in moto possiede un “impeto” che lo porta a proseguire il moto
anche in assenza di forze esterne. Questa teoria, la cui origine è rintracciabile negli scritti del filosofo alessandrino
Giovanni Filopono (V-VI secolo), anticipa la I Legge, la legge d’inerzia.
L’esperimento ideale di Galileo
La paternità della prima legge è però da attribuirsi a Galileo. Nel
Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
tolemaico e copernicano
, lo scienziato la dimostra attraverso un
esperimento ideale
: si lascia cadere una
pallina da un piano inclinato in cui si è ridotto al minimo l’attrito
[
B
]
.
ll piano da cui cade la pallina (a sinistra) ha un’inclinazione fissa, mentre un secondo piano su cui risale la pallina
dopo la caduta ha un’inclinazione variabile. I punti A, B e C sono alla stessa altezza. La pallina che parte da A
non riuscirà ad arrivare in B, ma si avvicinerà tanto più a B quanto si sarà riusciti a minimizzare gli attriti. Perciò
si può ipotizzare che, in assenza di attrito, raggiunga B. Se abbassiamo l’inclinazione del piano, vale lo stesso
ragionamento per il punto C.
Che cosa avviene se l’inclinazione diminuisce sempre di più, fino a disporre il piano in orizzontale?
Lasciamo la conclusione del ragionamento alle parole di Galileo, attraverso i due personaggi Salviati e Simplicio.
Salviati: “Quanto dunque vorreste voi che il mobile durasse a muoversi?”
Simplicio: “Tanto quanto durasse
la lunghezza di quella superficie”.
Salviati: “Adunque, se tale spazio
fusse interminato, il moto in esso
sarebbe parimento senza termine,
cioè perpetuo?”
Simplicio: “Parmi di sì…”
Un nano sulle spalle di giganti
A
B
h
A
B
C
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