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Si scoprì che la grandissima maggioranza delle particelle attraversava la la-
mina senza subire deviazioni, ma un certo numero di esse subiva deviazioni
più o meno consistenti (angoli di deflessione tra 1° e 90°) e circa una su die-
cimila veniva addirittura respinta (angoli di deflessione maggiori di 90°).
Convinto che il modello atomico di Thomson fosse corretto, Rutherford si
stupì soprattutto per quest’ultimo fenomeno, poiché i leggerissimi elettroni
non potevano deviare le pesanti particelle
α
lanciate a grande velocità. E in-
fatti disse: “Fu come sparare un proiettile da 15 pollici contro un foglio di
carta e vedersi respingere il proiettile!”.
I collaboratori di Rutherford studiarono gli angoli di deviazione delle par-
ticelle
α
dopo l’impatto con la lamina, e si resero conto che erano compati-
bili con la legge di Coulomb: le deviazioni erano dunque prodotte da un’in-
terazione elettrica di tipo repulsivo con particolari punti, piccolissimi e di ca-
rica positiva, interni alla lamina.
Il modello planetario di Rutherford
In base al risultato del suo esperimento, Rutherford costruì un modello ato-
mico avente al centro il
nucleo
, costituito da un certo numero di protoni, e
intorno gli
elettroni
, in ugual numero rispetto ai protoni e in movimento ra-
pidissimo su orbite circolari: l’atomo appariva come un minuscolo sistema
planetario, in cui il nucleo corrispondeva al Sole e gli elettroni ai pianeti
(
figura 11
).
Nel
modello planetario
proposto da Rutherford i nuclei, che ospitano i proto-
ni, sono dotati di carica positiva e in essi è contenuta la quasi totalità della massa
dell’atomo, data l’enorme differenza di massa tra protoni ed elettroni.
Il diametro di un atomo è da 10 000 a 100 000 volte maggiore di quello
del suo nucleo (a seconda degli atomi). Ciò significa che, per esempio, se un
atomo avesse il diametro di 10 (o 100) km il suo nucleo avrebbe il diametro
di 1 m soltanto! Poiché, inoltre, gli elettroni che occupano lo spazio intorno
al nucleo sono di gran lunga più piccoli dei nuclei stessi, possiamo conclu-
dere che un atomo è quasi del tutto vuoto: lo dimostra il fatto che solo una
piccolissima percentuale di particelle
α
passa talmente vicino ai nuclei degli
atomi d’oro da essere deviata e ancora più raramente si dirige direttamente
contro un nucleo, così da venirne respinta.
Occorreva però spiegare come mai gli elettroni presenti negli atomi, es-
sendo carichi negativamente, non cadessero per attrazione elettrica sui nu-
clei, di carica positiva. Rutherford ipotizzò che ogni elettrone fosse sottopo-
sto a due forze contrapposte in perfetto equilibrio: la forza elettrostatica at-
trattiva, che lo teneva vincolato al nucleo, e la forza centrifuga, legata al ra-
pido moto di rotazione dell’elettrone stesso, che ne impediva la caduta sul
nucleo (
figura 12
).
Ernest Rutherford
(Brightwater, 1871 - Cambridge, 1937)
Nato in Nuova Zelanda, si trasferì ben
presto in Inghilterra. Qui divenne allievo
di Joseph J. Thomson e successivamen-
te professore di fisica a Cambridge,
dove rimase sino alla morte. Si occupò
della struttura dell’atomo e dei proces-
si nucleari. Scoprì l’esistenza del nucleo
atomico ed elaborò il noto modello
atomico planetario. Vinse il Nobel per
la chimica nel 1908 per i suoi studi sulla
radioattività.
figura 11
Modello atomico di Rutherford.
+
figura 12
Secondo Rutherford un elettrone
atomico è sottoposto a due forze
che si controbilanciano:
l’attrazione elettrica da parte del
nucleo e la forza centrifuga.
nucleo
elettrone
forza
elettrostatica
forza
centrifuga
+