energia chimica, che si verifica grazie
alla fotosintesi clorofilliana, dipende la
vita sulla Terra; capirne i meccanismi
darebbe la possibilità di utilizzare il
know-how, che deriva dalla conoscen-
za dei sistemi naturali, per costruire
macchine molecolari che possano
riprodurre in vitro il dispositivo “foto-
voltaico”, altamente efficiente, attivo in
natura.
Ricerche di questo tipo costituiscono
la premessa a possibili applicazioni del
fotovoltaico organico nella costruzione
di molecole artificiali che operino una
separazione di carica, proprio come
fanno le biomolecole nei primi eventi
della fotosintesi clorofilliana. Ciò
significa poter produrre corrente elet-
trica e sfruttarla da un punto di vista
energetico.
La “quadratura del cerchio” sarebbe
ossidare l’acqua e prelevare da essa
elettroni sfruttando l’energia luminosa
per poi produrre idrogeno, in altre
parole usare l’energia solare per pro-
durre direttamente un combustibile
pulito come appunto è l’idrogeno.
Queste ricerche non sono ancora abba-
stanza avanzate da poter produrre
applicazioni a breve; i dispositivi foto-
voltaici realizzati fino a ora sono anco-
ra basati sul silicio e su altri semicon-
duttori. L’idea, però, è quella di trasfe-
rire in un futuro abbastanza prossimo
il know how derivato da ricerche come
la nostra a fisici e ingegneri che metta-
no a punto dispositivi bio-fotovoltaici.
Detto ciò, desidero puntualizzare che il
nostro lavoro è la ricerca di base il cui
obiettivo primo è la comprensione dei
fenomeni e dei processi naturali e non
il loro sfruttamento. Qualsiasi cono-
scenza ha un valore intrinseco ed è un
arricchimento culturale dell’umanità.
Può succedere poi che, anche in modo
del tutto inaspettato, una conoscenza
si riveli preziosa dal punto di vista
applicativo e sia utilizzata per miglio-
rare la nostra vita.
C’è un progetto che vorrebbe
realizzare a breve?
Il mio progetto più immediato è capire
i meccanismi fotoprotettivi caratteristi-
ci di tutti i sistemi che fanno fotosinte-
si. La luce è essenziale per le piante per-
ché viene trasformata in energia, ma
troppa luce può produrre forti danni ai
fotosistemi coinvolti nella fotosintesi.
Le piante, in particolare, in milioni di
anni di evoluzione hanno messo a
punto meccanismi di autoprotezione
dall’eccesso di luce. Quel che stiamo
cercando di capire, in collabo-
razione con altri gruppi di
ricerca, è come sono fatti e
come funzionano questi mec-
canismi di fotoprotezione.
Anche conoscenze di questo
tipo potrebbero avere, in futu-
ro, un’utilità nella progetta-
zione di dispositivi artificiali
per la produzione di energia
ricavata dal Sole, in quanto
anch’essi possono essere dan-
neggiati da un eccesso di luce,
proprio come avviene ai foto-
sistemi naturali
Che cosa si aspetta dal
futuro della sua disciplina?
Come ho già detto in prece-
denza, per quanto riguarda gli
studi sulla fotosintesi l’obietti-
vo più ambizioso è quello di
imparare dalla natura a sfruttare l’ener-
gia luminosa per produrre energia
utile. Nel caso della fotosintesi naturale
ciò significa sostanzialmente fare zuc-
cheri, nel caso della fotosintesi artificia-
le potrebbe voler dire ricavare energia
elettrica per usi domestici e industriali.
In una sola ora il Sole fornisce l’energia
che l’umanità consuma in un anno;
questa energia non costa nulla, anche
se ovviamente trasformarla avrà dei
costi, e, nella scala dei tempi della vita
umana, è inesauribile.
Oltre al nostro, molti gruppi di ricerca
nel mondo si occupano di fotosintesi, e
quello della fotosintesi artificiale è un
settore per il quale vengono stanziati
molti finanziamenti – non moltissimi
in verità nel nostro paese – nell’ambito
delle ricerche di energia rinnovabile e
pulita, una delle grandi sfide che oggi
deve affrontare l’umanità.
Che consiglio darebbe a uno stu-
dente che desideri intraprendere
una carriera simile alla sua?
Il primo consiglio è quello di progredire
per passione. Soprattutto in Italia, la car-
riera del ricercatore è dura e ci vogliono
un interesse autentico e una buona dose
di tenacia per seguirla. Il secondo consi-
glio è che più solidi sono gli studi
meglio è. Una disciplina scientifica
implica una buona formazione di base,
quindi inizialmente bisogna un po’ sof-
frire, ma con il tempo questi sacrifici
pagano. Quindi consiglierei un buon
background
, soprattutto fisico e chimico,
anche per chi vuol studiare la biologia.
Se ci si impegna veramente è possibile
farcela, magari con la disponibilità ad
andare in un altro paese.
Più si conoscono, soprattutto a
livello molecolare, i processi di
interazione luce-materia, più diventa
realizzabile lo sfruttamento
dell’energia solare. La conoscenza
viene sempre prima dell’utilizzo
consapevole delle risorse.
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