Sezione I - Il Consiglio dei Ministri

Articolo 94

Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.
Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.
Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia.
Il voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni.
La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.

La storia

Con l’art. 94 l’Assemblea costituente volle rendere esplicito che il sistema italiano si fonda sul rapporto di fiducia fra il Parlamento e il Governo che, per restare in carica, deve avere il consenso della maggioranza dei deputati e dei senatori.
Una volta formato il Governo, il Presidente del Consiglio ha l’obbligo di illustrare il programma di governo di fronte alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, che sono chiamati a votare («per appello nominale») una mozione di fiducia, ovvero un atto con il quale viene formalizzata l’approvazione del programma di governo. Se il governo ottiene la fiducia può iniziare a esercitare le proprie funzioni. Al contrario, se le Camere non concedono la loro fiducia il Governo decade.
Il Parlamento ha la facoltà di negare la propria fiducia all’Esecutivo anche durante il corso della legislatura: ciò può avvenire attraverso una mozione di sfiducia chiesta da almeno un decimo dei componenti di una delle due Camere. Se la mozione di sfiducia viene approvata, il Governo decade e deve dimettersi.

Il commento

La questione della fiducia ha assunto particolare importanza da quando, a partire dal 1994, si è iniziato a individuare le forze politiche di sostegno al Governo anteriormente alle elezioni: questo nuovo atteggiamento è stato formalizzato attraverso una legge (270/2005) che obbliga «i partiti che si candidano a governare» a depositare un programma elettorale, atto che si somma all’indicazione preventiva della figura designata a governare (una prassi, questa, che contrasta con l’architettura istituzionale delineata dalla Costituzione).
Ciò ha fatto sì che, in caso di crisi di governo, le forze politiche abbiano iniziato a chiedere l’automatico scioglimento delle Camere e l’indizione di nuove elezioni: procedura, questa, che contrasta con la prassi disposta dall’art. 92.
In caso di crisi di governo, infatti, il Presidente della Repubblica ha la piena facoltà di conferire un nuovo incarico che si può concludere con la formazione di un governo sostenuto da una maggioranza diversa da quella indicata dagli elettori.
Secondo la dottrina «sono possibili tanto maggioranze a sostegno di un governo di legislatura eletto, quanto maggioranze formatesi in epoca successiva alle elezioni».