Titolo II - Rapporti Etico-Sociali

Articolo 31

La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose.
Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo.

La storia

La discussione si concentrò su un articolo aggiuntivo proposto dai costituenti Bruno Corbi, Antonio Giolitti, Renzo Laconi, Teresa Mattei, Domenica Mezzadri, Giuliano Pajetta (Partito comunista italiano), che recitava: «La Repubblica cura lo sviluppo fisico della gioventù e ne promuove l’elevazione economica, morale e culturale. La legge dispone a tale fine l’istituzione di appositi organi e assicura l’assistenza morale e materiale dello Stato alle libere associazioni giovanili». L’emendamento fu bocciato. A nome del gruppo della Democrazia cristiana, l’on. Umberto Tupini spiegò: «Il Gruppo democristiano voterà contro non tanto perché respinge lo spirito informatore dell’emendamento, ma perché crede che l’esigenza da esso rappresentata sia già sufficientemente soddisfatta dalla votazione dell’inciso e la gioventù».
Il Gruppo del Partito liberale, a opera dell’on. Epicarmo Corbino, dichiarò: «Noi voteremo contro perché i compiti che con l’articolo aggiuntivo si vogliono affidare allo Stato vanno al di là di quelli che a nostro giudizio devono essere i compiti dello Stato».

Il commento

L’art. 31 ha permesso l’approvazione di una legislazione di tutela della maternità (istituzione dei consultori familiari, periodo di allontanamento dal lavoro negli ultimi mesi della gravidanza e nei primi mesi successivi al parto…), che, recentemente, è stata estesa anche alla paternità (anche i padri possono allontanarsi dal lavoro per accudire i figli).
Sempre dall’art. 31 derivano i provvedimenti riguardanti l’interruzione volontaria di gravidanza. Prima del 1978 – anno in cui entrò in vigore la legge n. 1994 del 1978 «Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza» – il Codice penale puniva severamente il reato di aborto prevedendo pene da 2 a 5 anni sia per la donna, sia per le persone che avevano svolto un ruolo attivo nell’aborto. Dopo il 1978, la giurisprudenza ha dichiarato illegittima la norma penale – soprattutto nei casi di «danno o pericolo per la salute psicofisica della donna» –, affermando che «non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare».