Uomo, ambiente e pandemie: dove stiamo andando?

di Ylenia Nicolini

I dati sulle malattie infettive emergenti che hanno colpito la popolazione umana negli ultimi vent’anni parlano chiaro: il 75% di esse è il risultato del trasferimento di un agente patogeno dagli animali (spesso selvatici) all’uomo. Eppure questo argomento, cruciale per il potenziale scoppio di una pandemia, è stato affrontato solo dagli esperti anziché essere portato all’attenzione della società e della politica.

La risposta all’attuale pandemia da COVID-19 si è concentrata soprattutto sulle misure di contenimento e trattamento, che hanno tuttavia portato con sé un drammatico impatto sociale ed economico. Come in molti casi, però, la prevenzione è l’arma più efficace. È possibile prevenire una pandemia? Non lo si sa con certezza, ma il primo passo in questa direzione è la conoscenza delle condizioni che favoriscono la comparsa e la diffusione delle zoonosi.

Che cosa si intende con “zoonosi”? Si intende un’infezione o malattia che può essere trasmessa, direttamente o indirettamente, tra gli animali (selvatici o domestici) e l’uomo, per esempio attraverso il consumo di alimenti contaminati o il contatto con animali infetti. Tra le malattie di origine zoonotica che hanno colpito gli esseri umani negli ultimi decenni troviamo: l’AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita), provocata dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV); l’influenza aviaria; l’Ebola; la SARS (sindrome respiratoria acuta grave); la MERS (sindrome respiratoria del Medio Oriente) e la recentissima COVID-19. Le zoonosi, il cui ospite definitivo è sempre un essere umano, possono essere suddivise in tre gruppi:

  1. malattie trasmesse direttamente, per le quali l’ospite serbatoio (un animale che, non venendo danneggiato in modo grave dal patogeno, ne permette il mantenimento nella popolazione) trasmette l’agente infettivo (un virus, un batterio, o un fungo) direttamente all’ospite definitivo;

  2. malattie trasmesse da vettori (il vettore consente il passaggio dell’agente patogeno dall’animale all’ospite definitivo);

  3. malattie causate da parassiti (nematodi o protozoi).


In genere, gli ospiti serbatoio sono rappresentati da diverse specie di roditori, pipistrelli, carnivori, uccelli, rettili e primati non umani, mentre i vettori includono per esempio zanzare, zecche, uccelli, o piccoli mammiferi. Quando un essere umano entra in contatto con una specie serbatoio si può verificare il cosiddetto “salto di specie” (spillover), grazie al quale il patogeno, evolvendosi, acquisisce la capacità di infettare, riprodursi e trasmettersi all’interno della specie umana. Ciò significa che più persone entreranno in contatto con un certo patogeno, più sarà probabile che esso riesca a infettare e ad adattarsi agli esseri umani, per poi acquisire, in ultimo, la capacità di trasmissione da uomo a uomo. Se si pensa che i soli mammiferi ospitano almeno 320 000 virus sconosciuti, risulta evidente che gli animali selvatici costituiscono un vastissimo serbatoio di agenti patogeni. 

Seppur le zoonosi siano sempre esistite, la loro frequenza e diffusione geografica sono in continuo aumento, con conseguente crescita della probabilità di epidemie e pandemie nella popolazione umana. Quali sono le potenziali cause dell’intensificarsi del rischio di zoonosi?

La comparsa di una malattia zoonotica è un processo articolato: se da un lato le interazioni tra ospite, vettore e patogeno sono di per sé complesse, dall’altro possono essere influenzate dalle condizioni ambientali. Ed è proprio lo squilibrio nel rapporto uomo-ambiente a fornire quelle condizioni che permettono agli agenti patogeni di espandersi e adattarsi a nuove nicchie ecologiche. Il crescente impatto antropogenico sugli ecosistemi, causa indiretta dell’aumento del rischio epidemico, include fattori ambientali e socioculturali quali i cambiamenti nell’uso del suolo, la perdita di biodiversità, il commercio e consumo di fauna selvatica, l’intensificazione della produzione animale, l’aumento demografico, la povertà persistente, i viaggi e gli scambi commerciali internazionali, l’inquinamento, i cambiamenti climatici globali. In che modo questi fattori possono influire sulla comparsa di nuove zoonosi?

 

Cambiamenti nell’uso del suolo: frammentazione e degradazione degli habitat naturali

I cambiamenti nell’uso del suolo aumentano le probabilità di contatti ravvicinati con la fauna selvatica e quindi con specie serbatoio portatrici di agenti patogeni nuovi per l’uomo. Nei cosiddetti hotspot, regioni ad alta biodiversità soggette a elevato disturbo antropico, il rischio di zoonosi è più elevato. In queste regioni, i processi di frammentazione e degradazione degli habitat (Figura 1) favoriscono la formazione di aree di interfaccia, in cui costruzioni o altre strutture umane si compenetrano con aree naturali; in queste aree, come anche in corrispondenza dei margini degli ecosistemi naturali rimasti, gli esseri umani e il loro bestiame hanno maggiori probabilità di entrare in contatto con la fauna selvatica e, di conseguenza, di contrarne i patogeni. Inoltre, quando negli habitat naturali frammentati il cibo scarseggia, gli animali selvatici sono spinti a spostarsi verso aree antropizzate, il che favorisce, a sua volta, il contatto di patogeni e vettori con animali domestici e uomini. Nonostante gli esseri umani abbiano modificato il paesaggio e sfruttato le risorse terrestri per secoli, la crescita della popolazione mondiale (che in meno di un secolo è passata da 2 a quasi 8 miliardi), nonché la persistente invasione degli ambienti naturali, hanno accelerato il trasferimento di patogeni dalla fauna selvatica alle persone. I cambiamenti nell’uso del suolo possono inoltre portare a una riduzione della biodiversità locale, un altro dei fattori scatenanti delle zoonosi.

 



Figura 1. Area della Foresta Amazzonica disboscata per il bestiame e porzione di foresta rimasta (a destra).

Perdita di biodiversità

L’impatto dell’uomo sugli ecosistemi naturali ha messo a rischio di estinzione circa 1 milione di specie animali e vegetali, e tale perdita di biodiversità può incentivare la trasmissione di patogeni in vari modi: 1) amplificando la diffusione degli ospiti serbatoio (conseguente la perdita di specie predatrici); 2) aumentando la densità di popolazione dei vettori; 3) aumentando i tassi di incontro tra vettori e animali serbatoio o tra questi ultimi. In queste condizioni, grazie a cui i patogeni si diffondono con più facilità, le probabilità di incontro con un animale (o un vettore) infetto sono maggiori, e il rischio di trasmissione del patogeno al bestiame o all’uomo aumenta.


 

Commercio e consumo di fauna selvatica

Anche le pratiche relative al commercio e consumo della fauna selvatica sono rischiose per la comparsa di zoonosi, poiché fanno sì che gli esseri umani entrino in stretto contatto con animali potenzialmente portatori di agenti patogeni pericolosi per l’uomo. La crescente domanda di fauna selvatica in forma di animali da compagnia esotici, medicine tradizionali e di bushmeat (carne di animali selvatici, Figura 2) spinge le persone a entrare nelle foreste per cacciare specie selvatiche, che in molti casi vengono poi offerte in vendita nei mercati delle aree urbane e rurali (i cosiddetti wet market, letteralmente “mercati umidi”). In questi mercati, dove le specie sono tenute ammassate e in pessime condizioni igieniche, il diretto contatto con parti di animali e lo scambio di fluidi corporei espone cacciatori, commercianti e consumatori al contagio di patogeni sconosciuti, accrescendo le possibilità di spillover. Il commercio di animali selvatici potrebbe essere stato uno dei fattori chiave nello scoppio della pandemia da COVID-19.

 



Figura 2. Pangolino dalla coda lunga (Phataginus tetradactyla) (bushmeat) tra le mani di un bracconiere (Mangamba, Littoral Province, Cameroon).

Intensificazione della produzione animale

Un ulteriore fattore da tenere in considerazione è la pratica dell’allevamento intensivo. Il bestiame include tutte quelle specie che, entrando maggiormente in contatto con l’uomo, giocano un ruolo importante per le trasmissioni. Negli allevamenti intensivi (Figura 3), l’altissima densità e la bassa diversità genetica degli animali allevati offrono uno spazio eccellente per la rapida propagazione dei patogeni. Concentrando moltissimi animali in aree ristrette, inoltre, la produzione animale incrementa le interazioni fra uomo e animali e fra uomo, fauna selvatica e bestiame. In queste condizioni è più probabile che il bestiame diventi un ospite intermedio e faciliti la trasmissione dei patogeni dalla fauna selvatica all’uomo.

 



Figura 3. Allevamento intensivo di maiali.

Conclusione

I fattori descritti sopra possono quindi indebolire gli ecosistemi e incidere negativamente sulla salute umana. La crisi in corso, causata dalla COVID-19, è l’esempio più recente di salto di specie verso l’uomo, grazie al quale il nuovo coronavirus SARS-CoV-2 si è diffuso rapidamente in tutto il mondo grazie alla nostra civiltà umana globalizzata e iperconnessa. Di conseguenza, sarà necessario realizzare che la distruzione degli ecosistemi, la deforestazione, il sovrasfruttamento delle risorse naturali, il commercio e consumo di fauna selvatica ecc. destabilizzano il nostro ambiente e favoriscono la diffusione di agenti patogeni. In questo scenario, sarà inoltre indispensabile tenere conto del ruolo dei cambiamenti climatici globali nell’indurre variazioni nei range geografici degli animali selvatici e nel determinare la comparsa di nuovi vettori, per esempio di nuove specie di zanzare in regioni temperate.

Per queste e altre ragioni, la nostra salute dipenderà sempre più dai nostri sforzi nel ripensare al nostro rapporto con la natura e nel ridurre il tasso di cambiamento climatico.

 

Sitografia:


 

Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe)

ISS

efsa (European Food Safety Authority)

What causes pandemics like COVID-19? (video)

Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030 (video)

Il fenomeno dello spillover (video)

 

Bibliografia:


 

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