Eredità da Covid: diagnosi più veloci per nuove pandemie

di Nicole Ticchi

Eredità da Covid: diagnosi più veloci per nuove pandemie

La pandemia da COVID-19 non è ancora uscita del tutto di scena, nonostante sia decisamente meno presente nella top five delle notizie, ma già la preoccupazione per un’altra epidemia fa capolino sulle news delle ultime settimane. Una situazione diversa, un virus diverso e, per fortuna, anche il tasso di contagio non ricalca quello cui ci siamo abituati di recente. Ma è possibile che vengano a galla tutte adesso, queste epidemie?
L’ultima novità è il cosiddetto vaiolo delle scimmie, ma va detto che non è poi così nuovo. Il nome richiama una delle malattie che eravamo convinti di aver debellato già diversi decenni fa, ma questa, pur essendo della stessa famiglia del vaiolo, mostra una gravità e una trasmissibilità molto minore e il virus che la provoca è noto già dalla fine degli anni Cinquanta. Oggi però, rispetto ad allora, abbiamo uno scenario diverso: la capacità di diagnosticare i diversi tipi di virus è decisamente migliorata, soprattutto in velocità. La maggiore disponibilità di strumenti diagnostici porta ad accumulare più conoscenze e più dati su una determinata patologia, a monitorarne meglio l’andamento; l’altro lato della medaglia è che spesso fornisce anche la sensazione che vi sia un aumento di quel fenomeno in termini di casi o intensità.
In questi ultimi anni si è parlato spesso di come 
i fattori climatici stiano cambiando in maniera tale da favorire nuove situazioni epidemiche o, addirittura, pandemiche. Il riscaldamento globale, la fusione dei ghiacci e la resistenza antimicrobica, uniti alla globalizzazione del commercio e ad una intensificazione degli spostamenti, giocano un ruolo importante in questo. L’approccio One Health, dopotutto, avanza già da anni una necessità impellente di rivedere il modo in cui concepiamo la convivenza con il grande sistema che è l’ambiente, con una abitudine a considerarlo il contesto in cui viviamo e non una porzione di mondo separata.


 

Un fattore cruciale: la diagnostica

La pandemia ha acceso i riflettori su questi aspetti di interconnessione, facendo riflettere anche su fenomeni che nel nostro paese hanno avuto effetti più marginali e ha messo in chiaro quanto le grandi epidemie possono incidere sulle nostre vite dal punto di vista della salute, ma anche dell’economia e della società, oltre che dell’ambiente.
Ha portato però anche ad un altro importante fattore: un’accelerazione nella possibilità di rilevare e monitorare gli agenti patogeni. Come spesso accade quando ci si trova a fronteggiare situazioni di grave emergenza, la spinta tecnologica a trovare nuove soluzioni si fa più forte e decisa: è stato così anche per la diagnosi di Sars-Cov-2, che oggi è possibile rilevare in tempi molto brevi e con maggiore facilità di quanto avvenisse nel lontano marzo del 2020.
La pandemia da COVID-19 ha aperto molte porte per la diagnostica molecolare. Sono stati fatti forti investimenti in questo settore, sia a livello di ricerca di base che applicata per ottenere test migliori e più efficaci, anche legati a nuove applicazioni. L’avanzamento tecnologico raggiunto oggi ha anche consentito agli scienziati di condividere il sequenziamento del genoma di diverse varianti di virus, aiutando a determinare se i vaccini e i trattamenti che abbiamo sviluppato sono efficaci o meno. I dati raccolti hanno poi consentito agli scienziati di modellare i possibili risultati in base alla diffusione del virus. Mantenere alta l’attenzione e l’investimento in questo ambito ci permetterà di avere una capacità diagnostica adeguata disponibile in tempi rapidi per le prossime malattie infettive che quasi sicuramente incontreremo.


I tempi della diagnosi, in questo, sono un aspetto cruciale e fanno la differenza: influenzano la possibilità di intervenire efficacemente, di contenere un’epidemia e di gestire le conseguenze a livello economico e sociale. La diagnosi, quindi, diventa anche più importante della cura stessa per una certa malattia, perché arginare precocemente la diffusione di un agente patogeno è più utile che doverne curare i sintomi. Da qui nasceva anche l’importanza del tracciamento e del testing veloce nelle fasi in cui il lockdown doveva essere allentato. All'inizio della pandemia di COVID-19, Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell'OMS, ha esortato i paesi a "testare, testare, testare”: i test, l'isolamento e il tracciamento dei contatti - affermava - devono essere la spina dorsale della risposta alla pandemia. Ma non solo: si è arrivati anche al decentramento del processo diagnostico, alimentando la produzione di test più semplici che, per quanto non affidabili al cento percento, hanno permesso di allentare la pressione sui sistemi sanitari e di rendere più autonome le persone. Autotest, test in farmacia o nelle cliniche locali permettono di non doversi più recare in ospedale per essere adeguatamente testati, limitando spostamenti e contagi. Si tratta di una modalità che potrà essere utile anche in futuri focolai pandemici: le persone possono sottoporsi a test per gli agenti patogeni più rapidamente e non dovranno necessariamente fare lunghe file in laboratorio con pazienti potenzialmente contagiosi.


 

Lezioni da imparare

La scarsa preparazione dal punto di vista diagnostico ha contribuito in passato a ritardi significativi nell'identificazione di alcuni focolai di agenti patogeni come Ebola, febbre gialla e Zika. Nel caso dell'epidemia di Ebola del 2013-2016 in Africa occidentale, in particolare, c'è stato un ritardo di 3 mesi tra il caso iniziale e l'identificazione dell'agente eziologico; alcune analisi post-epidemia suggeriscono che la diagnosi del 60% dei pazienti entro 1 giorno anziché 5 giorni avrebbe potuto ridurre il tasso di contagio quasi dell’80%.


Ora più che mai, la diagnostica deve essere valorizzata, in modo che possa fungere da forza trainante per un cambiamento sostenibile nell'assistenza sanitaria stessa. Un maggiore peso alla diagnostica, ora e in futuro, può aiutare a gestire efficacemente, se non a sradicare, le malattie infettive e a garantire una maggiore preparazione nei prossimi casi. Il primo importante passo avanti nella nostra capacità di rilevare i virus è il sequenziamento del genoma, che ci consente di identificare e caratterizzare il genoma dei virus che circolano e di ottenere informazioni continue sulla loro diversità genetica, evoluzione e trasmissione.
Lo sviluppo di piattaforme diagnostiche flessibili in grado di adottare rapidamente test per diversi agenti patogeni è un altro passo importante. I test multi-patogeni sono particolarmente preziosi per il rilevamento iniziale e il monitoraggio di quei casi che causano focolai, consentendo una risposta rapida senza imporre la necessità di coinvolgere altre risorse umane altamente specializzate che possono essere impiegate in altri settori. Ma anche richiedere una preparazione limitata del campione riduce le esigenze di lavorazione e minimizza il rischio per gli operatori di laboratorio, con un particolare vantaggio nei casi di agenti patogeni facilmente trasmissibili che causano malattie gravi.
Nella ricerca riguardante nuovi metodi di rilevazione dei patogeni, oltre ai più conosciuti come la PCR o la rilevazione di antigeni e anticorpi, anche l’implementazione degli aspetti tecnologici e della messa in rete di tutte le informazioni rilevate gioca un ruolo importante, aiutando anche le comunità di cittadini ad agire in maniera più informata e consapevole.


Michael Osterholm - Prepararsi alla prossima pandemia


 

Attività per la classe

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Problema: quali saranno le prossime epidemie?

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